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La "pacciada" su in vigna sulle conviviali tracce del Gioânn

di Cristiana Cassé





Un costone a picco sul mare di Monterosso. È il tramonto. Loro sono in dieci e camminano in fila su un sentiero ripido e sconnesso. Qualcuno cade, una mano pronta impedisce che tocchi terra. Nessuno si scompone. C'è un silenzio improbabile. Le loro figure nere contro un sole ormai basso, ormai rosso, sembrano quelle di ragazzi scappati dal collegio, muti, compresi, eccitati dall'imminenza di una riunione segreta. Portano pane, patate, spezie, e un pesce enorme, una castagnola. L'hanno presa loro, insieme. In testa è Renzino. Alto e presente, a dispetto del diminutivo. È sua la casa in cima alla collina che li accoglierà, che li ha sempre accolti.

Ma non sono ragazzi. Sono gli Uomini di Monterosso. Quelli che tengono vivo il paese, quelli che lottano per la continuità delle sue tradizioni. Sono gli Uomini della vigna, del mare, dei cantieri, della ferrovia e, soprattutto, dell'Associazione di pesca sportiva, quasi una confraternita, che li tiene uniti da anni. I cognomi non li sento, tranne quelli dei due Sergi - Toracca e Dallara - perché se no si perde chiarezza. Sono semplicemente Arrigo, Michele, Carletto, Giuseppino, Marietto.

Quando il momento è propizio, il rituale è sempre lo stesso. Escono a pesca, tornano a riva carichi, vanno a casa a cambiarsi, si ritrovano in paese e poi tutti in vigna da Renzino. Un'arrampicata pazzesca, che però vale sempre la pena. Mentre il pesce cuoce, con le patate e le erbe, nel forno di sassi all'aperto, loro brulicano dappertutto con posate e bicchieri. Camminano sicuri, sul bordo di un gradone di terra che sembra finire nel nulla, animati da un ritmo interiore fatto di volersi bene, non si scontrano mai. In un minuto la tavola è fatta, il vento accarezza la tovaglia.

Partecipare a queste riunioni, poco segrete ma tanto esclusive, non è per tutti. Io sono un'eccezione. Mi danno a fatica del tu, mi trattano come pochi cavalieri sanno fare. Sono ammessa a questa tavola con Paolo, anzi grazie a Paolo. Anche per lui è la prima volta. Ci lasciano entrare in memoria dell'amico Giôann, Gianni Brera, che era uno di loro. Paolo è suo figlio, io devo scrivere una tesi sul grande giornalista sportivo - in capo a qualche giorno dovrò dare l'esame di giornalismo - e sono lì per parlare con la sua gente.

Renzino intuisce il mio imbarazzo e mi accompagna nella sua vigna, dove scopro che quelle viti, le più abbarbicate del mondo, più ordinate di una sala da tè, sono fra le poche di tutte le Cinque Terre ancora dedicate alla produzione dello Sciacchetrà. Renzino - all'anagrafe fa Cristoforo Scapparone - il vino lo fa senza badare a spese: solo dieci litri per ogni quintale d'uva, come tradizione comanda. "Praticamente marmellata", mi urlano in coro dal basso.

Poi il pesce è pronto. Il vino migliore è stappato e stordisce con quel profumo che non sembra di questo mondo. Il vero Cinque Terre, un po' salso, corposo e color del miele. Gianni e qualche battuta goliardica. Qualche battuta goliardica e Gianni. Si va avanti così per ore. Gianni manca da otto anni, ma chi se lo scorda più. "Ogni tanto dava un verso", esce Renzino all' improvviso con la forchetta sospesa. Un ruggito, un bramito, che significava "questo è buono, qui sto bene".

Se lo ricordano tutti quel verso. Cercano di imitarlo. C'è un momento buio, triste. Qualche sospiro. Renzino sembra imbarazzato. Chissà se questa donna capirà? Questa donna capisce. Ed è grata per essere lì. Cerco di spiegare che è il più bel regalo per me. Poi, a leggermi nel pensiero è Michele: "neanche fosse il tuo compleanno...", mi dice. Ma è davvero il mio compleanno! Lo è veramente. Avevo rinunciato a festeggiarlo per via della tesi, dell'esame da giornalista. Non ci credono, pensano a uno scherzo, poi mi guardano negli occhi... ed è baldoria. Gli auguri si sprecano. Grazie ragazzi. E, a proposito, l'esame poi l'ho passato.


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