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Buon Natale con i
presepi di Bova

Marcella Perodo


Nader, i tappeti che
sopportano le rughe

Rosetta Griglié


Jovanotti fa Sinestesie e non s'annoia
Albino Magenta


Cuba e Cigair!
E Marx(Groucho)
ci mostra la via
(del tabacco)
Vittoria Colpi


Ibiza:
reveni, revidi, revici
et latine (vani)loquor

Brerus


Notting Hill,
dove trovi tutto

Roberta Lombardi


Un cestino che si ammira e non si mangia
Vittoria Colpi


E M.A.C disse:
gioca con il tuo aspetto
Francesca Sarzi


Maglie di Jucci,
maglie di Bellomi

Francesca Sarzi


Eugenio il gallerista
Rosetta Griglié


Quel gioiello dev'essere mio (e solo mio, disse l'artista)
Roberta Lombardi


I misteriosi tappeti
di Manukian

Roberta Lombardi


Poesia della cucina
da Punto Servizio Casa

Albino Magenta


Il portale
degli Artisti



Hostarie Vecjo Friûl,
le lys dans via Rosmini
Brerus


Piatti bicchieri & C
Paolo Brera


La mitica macchina per
scrivere di Brera
donata dalla famiglia al
Museo del Calcio
Marco Ceccarini


Museo del Calcio,
la memoria storica del
"gioco più bello
del mondo"
Claudio Rinaldi


Ottant'anni
in Jamaica


L'Olimpo giamaicano
Emilio Tadini


I tappeti di Nader
sfidano il tempo

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Libri per i Senzabrera
Rosetta Griglié


I negozi gemelli
del design artigiano

Paolo Brera


Con una supermostra
esplode la Milano picassea

Rosetta Griglié


Il Samizdat dei poeti
della via Madonnina
G. D’Ambrosio Angelillo


Alla ricerca
del manzo perduto

Brunella Bianchi


Boffi, il grande design
entra in bagno

Marcella Perodo


Artisti in "Famiglia"
da 120 anni

Vittoria Colpi


Qui solo tappeti solari.
E di classico, niente
Rosetta Griglié


È vero oppure è falso?
La risposta cerchiamola
al Museo del Collezionista

Rosa Gialdina


A Barbianello da
Roberto e Mariarosa

Simposio Gianni Brera


A passeggio
con de Chirico

Osvaldo Patani











 

Buon Natale con i presepi di Bova

Sono circa dodici mesi che Renato Bova lavora al suo presepe. Dai primi di dicembre, tutti lo potremo ammirare nelle vetrine di Pietro Mainero (via Moscova 47/A). Oltre alla scena della natività, Renato ha realizzato anche alcuni personaggi singoli, che verranno ospitati nelle vetrine di diversi negozi di via Solferino.

Marcella Perodo

"Mi fa piacere, in un mondo che perde i suoi valori, riproporre qualcosa di antico, che mi ricorda la mia infanzia, quando andavo a vedere i presepi e ne rimanevo incantato". I presepi non sono una passione passeggera per Bova, bella faccia da San Giuseppe e chiare origini napoletane. Da anni aspettava di potersene occupare a tempo pieno: "Ho approfittato dello ‘scivolo’ della pensione, nel ‘99, per realizzare il mio sogno", dice questo giovane pensionato di 56 anni, mentre mi offre la pastiera preparata dalla moglie Wanda, ovviamente napoletana come lui.

I suoi "pastori" (come lui chiama, con affetto, i personaggi del presepe) esigono tempo, tanto tempo, e una dedizione pressoché totale: "Appena sveglio, già ci penso... le idee nascono di notte e si materializzano di giorno". Fino alla pensione, quindi, niente presepi: solo quadri, soprattutto di persone, in cui l’ex ispettore di banca sbrigliava il suo talento figurativo. E caricature per i colleghi. D’altronde, per un appassionato di volti, gesti, espressioni, quale miglior lavoro che la banca? Chissà quanti ex-clienti ha ora immortalato, inconsapevolmente, nei suoi pastori.

Il gruppo visibile da Mainero è il classico presepe alla napoletana: al posto della grotta c’è il rudere di una villa pompeiana, che accoglie la sacra famiglia; intorno, uno dei Re Magi, con la sua orchestra di mori, un nobile, uno zampognaro, alcune donne, l’angelo. Qua e là per via Solferino potremo invece ammirare i mestieri tipici del presepio: la friggitrice di zeppole, la castagnara, l’acquaiolo, la venditrice di arance. Venti bellissimi pezzi modellati con amore, abbigliati con grande cura e accessoriati di tutto: lunghissima è la ricerca del materiale per gli accessori, tutti confezionati con pezzi di recupero. È un grande frequentatore di mercatini, Renato, e in famiglia non buttano più via nulla, perché non si sa mai… Assemblando parti di diversa provenienza sono nati così gli strumenti dei mori, il turibolo dell’angelo, la spada del nobiluomo, il fornello della castagnara, eccetera.

Tutti i personaggi, alti una trentina di centimetri, sono costruiti come vuole la tradizione, con corpo in stoppa e viso ed arti modellati in terracotta. Bova modella a mano ogni viso, senza ispirarsi a personaggi esistenti, per cui ogni figura è unica e irriproducibile. Gli abiti sono tutti cuciti a mano; le stoffe provengono in massima parte proprio dal negozio di Mainero. Nella sua ricerca di scampoli e ritagli Bova ha conosciuto Khaled Signorini, il proprietario, che gli ha poi proposto di esporre nelle sue vetrine.

Già autodidatta nella pittura, per creare i suoi personaggi Renato ha dovuto imparare da sé molte altre cose. Certi segreti del mestiere li ha carpiti direttamente ai maestri napoletani di San Gregorio Armeno, la strada dei presepi. Mi mostra una delle ultime figure realizzate, che ha i tradizionali occhi di vetro: è orgoglioso di essere riuscito a sapere come non farli sciogliere durante la cottura della creta — e, naturalmente, non me lo rivela!

"Mia moglie pensava che, andando in pensione, sarei stato di più a casa, invece è successo il contrario..." . D’altronde, la passione per l’arte è un’eredità che, nella famiglia Bova, passa di generazione in generazione: dopo il nonno e il padre, ora è il momento di Amelia, 21 anni e un corso di pittura all’Accademia di Brera.

Per il prossimo anno, Bova ha in programma di aggiungere degli animali e di ampliare la serie dei mestieri. Molte figure, però, avrebbero bisogno di un’ambientazione particolare, come ad esempio l’osteria o la fucina, e quindi, a malincuore, non le può realizzare: altrimenti, "verrebbe un presepe grande come Piazza Duomo". Be'... e perché no, Renato!




Nader, i tappeti che sopportano le rughe

"È un’arte povera, che nasce dai villaggi, ben lontana dai fasti delle Mille e una notte". Karim Sobouti, antiquario per vocazione non per eredità di scettro, è uno specialista di tappeti antichi caucasici e anatolici. Approda a Milano subito dopo la rivoluzione khomeinista. Sceglie di iscriversi alla facoltà di Architettura, indirizzo urbanistico. Una collaborazione casuale lo introduce però nel magico mondo del tappeto ed è così che nasce nel ’96 la galleria Nader (via Moscova 27, tel. 0229.006.397). Partito da sotto zero ma mosso subito da autentica passione: "Avevo solo vent’anni, ma credevo in quello che facevo" .

Rosetta Griglié

Sono tappeti che sfidano le rughe del tempo ostentando colori puri nitidi primordiali, che escono dalla trama come gemme preziose. Sobouti partecipa con grande interesse a tutte le mostre nazionali ed internazionali ed ogni anno ne organizza una a tema nel suo atélier-galleria. Quest’anno il titolo è I tappeti del XIX secolo, dal 23 novembre al 29 dicembre, orario 10.00 – 20.00.




È un periodo particolarmente felice del tappeto caucasico e anatolico, che segue esclusivamente il fabbisogno interno senza occhieggiare al mercato occidentale. Arte genuina, insomma, che alla fine del secolo verrà "corrotta" e corretta dall’interesse degli americani per il tappeto, modificando quindi le fattezze e operando dei cambiamenti nelle tecniche di produzione a beneficio di un manufatto più "moquettoso" (oltreoceano si pretendono almeno due cm sotto i piedi) e di più ampie dimensioni.

L’Ottocento permette inoltre di godere di pezzi autentici senza arrivare al collezionismo ultraricercato e ultracostoso del Sei-Settecento. Attenzione però al miraggio del tappeto come bene rifugio. Il bello costa (e dall’11 settembre a oggi i prezzi sono triplicati, come si è registrato nelle ultimissime quattro aste internazionali). Ecco perché bisogna fare attenzione agli imbonitori. Il bello recente costa quanto il bello antico. Non esistono affari d’oro, anche se Milano è una delle piazze migliori del mondo, ed è oggi molto vicina a New York dopo aver detronizzato Londra. È inoltre importante quando si decide l’acquisto di pretendere un ottimo stato di conservazione.

Consigli di manutenzione? Intervenire subito ai primi segni di usura e lavare i propri preziosi ogni quattro o cinque anni. Ma se volete profittare di altri consigli d’esperto doc fate una capatina chez Monsieur Sobouti (a proposito, Parigi come antiquariato di tappeti non esiste proprio).








Jovanotti fa Sinestesie
e non s'annoia

Resterà aperta fino al 16 dicembre, presso lo Spazio Corneliani ( Pal. Durini, via Durini 24, tel. 0280.521.51, delosmi@tin.it), la mostra Sinestesie che unisce colore e musica. La mostra è la quinta di una serie e fa capo a un progetto generale, che si chiama appunto Il colore della Musica ed è curato da Alberto Fiz per la Fondazione Maimeri.

Albino Magenta

Se nelle precedenti edizioni dialogavano un artista e un musicista, quest’anno si dà vita ad un concerto fatto di immagini, colori e suoni in cui i protagonisti sono l'artista Marco Lodola, che ha sempre fatto della contaminazione l’elemento fondamentale della sua ricerca, e i musicisti con cui ha collaborato, come Lorenzo Jovanotti, i Timoria, Andy dei Bluvertigo e Max Pezzali degli 883. Sinestesie si sviluppa attraverso un percorso di trenta opere dove, accanto alle sculture luminose realizzate da Lodola per l’occasione, compariranno nell’inedita veste di pittori anche Lorenzo Jovanotti e Andy dei Bluvertigo. Non mancheranno le scenografie di Lodola per i concerti degli 883 e dei Timoria tra cui Caveau, l’ormai celebre cavallo in perspex a grandezza naturale. Dice Lodola: "Suoni e immagini sono due universi che si sovrappongono e danno vita a quel fenomeno per cui la percezione di determinati elementi è accompagnata da immagini proprie di un’altra modalità sensoriale: sinestesia, appunto".





Accanto alle sculture di Lodola, la mostra presenterà lavori pittorici di derivazione pop realizzati da Andy dei Bluvertigo e dipinti di Lorenzo Jovanotti con un raffinato uso del colore in chiave espressiva e ironica. "A me la parola arte mi fa uno strano effetto", afferma con un certo scetticismo Jovanotti. "È come una cravatta stretta intorno al collo come un cappio". Il progetto è completato da un altro intervento, un video di Anna Agnelli sui lavori luminosi di Marco Lodola, che segna anche il debutto della giovane regista.

Il progetto Colore della Musica è nato nel 1997 ed ha visto insieme esponenti dell’arte e della musica come Emilio Tadini e Sarah Jane Morris (1997), Aldo Mondino e Delmar Brown (1998), Lucio Del Pezzo e Enrico Ruggeri (1999), Marco Nereo Rotelli e Franco Battiato (2000). La mostra è accompagnata da un ampio volume edito da Mazzotta (lire 40.000) con testi di Alberto Fiz, Lorenzo Jovanotti, Fabiola Naldi, Omar Pedrini, Max Pezzali, Red Ronnie e Tiziano Scarpa.

 






Cuba e Cigair! E Marx (Groucho)
ci mostra la via (del tabacco)

Nel 1493, Luís de Torres, uomo di fiducia dell’equipaggio di Colombo, tornato nel Vecchio Continente e scoperto a fumare un sigaro per le strade di Madrid, viene accusato di stregoneria dall’Inquisizione e buttato in prigione….. Un autentico paradiso invece attende ora gli appassionati fumatori di sigari cubani: è il Cigair Milano (Via Molino delle Armi 25, tel. 0289.420.089, e-mail cigair@tin.it).

Vittoria Colpi

Una piccola discesa, qualche gradino e si apre un elegante spazio. Ottimi quadri alle pareti, una collezione di chitarre vintage su un minuscolo palcoscenico, accoglienti poltroncine minimal e sullo sfondo un lungo bancone di bar cubano, del 1923, ricolmo di raffinati alcolici. Il sorriso ammiccante di Groucho Marx, famoso cabarettista ed ora simbolo del Cigair, ci invita con il suo Dunhill 410 al piacere del fumo.

Fa gli onori di casa Federico, sopracciglia e baffi scuri, arcana somiglianza a Groucho, enciclopedia umana in fatto di sigari…

Come è nata l’idea del Cigair?

"Il Cigair è un club di fumatori. È stato creato nel 1997 da Andrea Molinari,appassionato collezionista di sigari cubani. Il socio, e ne contiamo più di 3000, da noi è sacro."

Mentre Federico spiega che per i sigari come per le auto esistono marche e cilindrate, che il loro nome nasce spesso dalla lettura di libri che accompagnava il duro ma nobile lavoro dei torcedores, così come il Montecristo o il Romeo y Julieta, ci avviciniamo al cuore del locale, il walk-in-humidors per gli intenditori.

Qui alloggia la Casa del Habano?

"Sì, qui il sigaro è trattato da gran signore. Con il legno di cedro cubano alle pareti, temperatura ed umidità controllate, ritorna alle origini, nel clima tropicale in cui è nato. Il fumatore può apprezzarlo nelle condizioni ideali."

 





Ibiza: reveni, revidi, revici
et latine (vani)loquor

Si ritorna dopo più di un anno da Ibiza (c.so Garibaldi 108, tel. 0265.548.01) e si resta sorpresi dai mutamenti. La Commensale Misteriosa ed io seguiamo le tracce di un lettore che ha scritto per dire peste e corna del locale, e ne chiediamo subito conto al direttore Piero Valerio: cur hoc fecisti? (NB: Il latino del liceo ritorna sempre su, tale e quale l'aglio. Con noi quel giorno c'era Brer Merlin Cocai.) Ma davvero qui è sempre pieno di comitive, davvero i camerieri sono scortesi e il cibo così così?

Brerus

Ebbene, lo ammetto: sapevamo già la risposta, perché uno della redazione ci era andato a mangiare prima senza farsi riconoscere, ma lo stesso volevamo chiederne conto al gestore tanto per rompere un po' le forlimpopole, malignazzi che siamo. Orbene i camerieri sono solleciti e il cibo originale e delizioso, ispirato creativamente alla tradizione mediterranea.

Ibiza redibis non morieris in bello! Nunc est bibendum. Questa volta notiamo una sterminata lista dei vini: Valerio raccomanda i suoi francesi, ma a due mesi dall'euro ci tuffiamo in un trip di nostalgia e assaggiamo solo roba italiana — un Cervaro della sala barriccato 99 Antinori, un incredibile bianco che sa parecchio di tè Lapsang Souchong, seguito da un Nebbiolo Langhe 98 Cavallotto, degnissimo, un sorso di corda (sursum corda) che cura la depressione. Cogitas, ergo es, avrebbe potuto dire Cartesio: pensi, vuol dunque dire che mangi, visto che, se non mangiassi, sarebbe dura assai pensare. Arrivano pertanto quattro antipasti, l'africana di calamari fritti con zucchine, che è straordinaria, non grassa, gradevolissima, un'insalata di avocado (insalsa akkaum in antico falisco) con gamberetti e salmone, buona ma il salmone non c'entrava proprio, un'insalata di polpo con carciofi (magistrale accostamento), e un involtino di pesce spada. Questo è delicato, con un ripieno gentile, e l'occasionale cappero di Giannutri, simile alla perla nell'ostrica, questa volta tocca alla Commensale e non a me. Misteri della Misteriosa.

In primis venerare deos. Fra i primi, geniale è la passata di ceci, morbida, accompagnata dal polpo, e poco meno gli gnocchetti di patate all'erba cipollina con bottarga, che viene cosparsa come gomasio e tu mangi pura e sapida morbidezza.

De secundis clamavi ad te, Domine. Segue infatti arrosto di vitello (non di maiale, che sarebbe mea pulpa, dato che io mi mantengo sempre compos suis) con funghi e calamari di campo (introdotti dal caposala Giuseppe Ferrara, che è fidanzato con una spagnola provvida di consigli di cucina): curioso, ma di fronte all'agnello con salsa di frutti di bosco l'indecisione è impossibile: ubi maior, ad astra in excelsis: o no? Chiudiamo i cibi con un buon tortino al cioccolato e una singolarissima pera con frittata dolce e salsa al cioccolato, i vini con un Sauternes che è oro liquido (chrysolysis).

E il lettore critico? Mah, forse era un concorrente in incognito e per di più ad portas, insomma più Hannibal che Lector. O forse è capitato in una di quelle giornate-no che prima o poi si verificano in ogni ristorante, quando metà del personale ha l'influenza, il caposala ha litigato duro con la sua focosa spagnola, al bravo chef Pierluigi è appena morto il gatto e il gestore è esasperato dalle continue e sguaiate citazioni latine (gestor, ne ultra lasagnam!). Quandoque bonus dormitat Homerus, non vi pare? Un consiglio finale da Brerus, -a, -um: andateci, all'Ibiza, sventolando questo articolo (articulum hoc exventulantes, arida modo pumice expolitum), e chiedete conto di qualunque pecca, se mai dovesse esserci (ma non ce ne saranno). Che diamine, siamo vvuomini o corporali!?





Notting Hill, dove trovi tutto

All'esterno ricorda le palazzine di Londra, con la sua facciata blu scuro, il tendone dello stesso colore, e le vetrine che sono composizioni sempre nuove di articoli accattivanti e impensati. Notting Hill (via Ponte Vetero 14, tel. 0286.984.539), il cui nome si riferisce ad uno dei più noti quartieri di Londra, è proprio come quei negozietti londinesi in cui si trovano gli oggetti più disparati, provenienti da ogni parte del mondo.

Roberta Lombardi

Si tratta invariabilmente di idee-regalo, divise per generi. Si possono passare le ore alla ricerca di regali per gli altri, ma viene la tentazione di regalarli a sé stessi!

È come trovarsi in un mercatino dove c'è di tutto, non resta che scegliere. Per la cucina c'è il reparto in ceramica o in alluminio, con decorazioni che cambiano in ogni periodo. "Il nostro intento è di offrire ogni volta prodotti nuovi: cambiamo sempre aspetto e non siamo mai uguali". Ci sono guantoni, presine, strofinacci con disegni di gatti, oche, teiere. La linea in découpage, invece, raccoglie articoli moderni, ma anche pezzi di antiquariato trovati nei vari mercatini. Per chi ama la carta c'è, poi, una scelta vastissima di carte regali e di scatole decorate col cartonnage.

Non vengono dimenticati i più piccoli, con una parte tutta dedicata a loro, dove si trovano magliette e felpine con dolcissimi disegni di cuccioli. E le stesse magliette si trovano per i più grandi anche con la shopping bag uguale. Una stanzetta è tutta dedicata ad uno stand orientale, arredata come una sala da pranzo, con mobili etnici. "È la nostra stanza preferita!", spiega la mia accompagnatrice: "Sembra di stare a casa". Il tavolo al centro ha il ripiano costituito da una finestra di ferro battuto. Spiegazione: c'è tutta una linea in ferro battuto che ha avuto un grande successo.

 





Un cestino che si ammira e non si mangia

Per il prossimo Natale cerchi un cestino-regalo diverso dai soliti dolci, spumanti e frutta? Un cesto a tema per un bimbo, un single o una romantica amica? Ricolmo di morbide salviette, di caldi accappatoi, di canovacci o lenzuola dalle mille sfumature, un tale cestino lo trovi da Mirabello (Via Montebello ang. Via S. Marco, tel. 0265.99.773, mirabello@mirabellomilano.it).

Vittoria Colpi

Il pioniere è Roberto Cabrini. Con il suo bagaglio di esperienza in biancheria per la casa, maturata sul campo in importanti aziende, si porta nel West, la zona di Brera di 20 anni fa, con le case fatiscenti, le latterie dove si perdono gli artisti, insomma un quartiere non ancora così commercialmente famoso com'è oggi.

All’inizio Cabrini vende prodotti di altre aziende, ma nel contempo studia ed affina i gusti della clientela. Arriva a creare una propria linea di biancheria per la casa: cose belle ed utili. E oggi: tessuti per camicie, passatoie in coconut, modernissime coperte di pile e preziose stoffe, provenienti da tutto il mondo, per lavori di tappezzeria. Con la consulenza del personale, gentile e preparato, ogni persona ed ogni angolo della casa qui possono essere vestiti su misura e cifrati con ricami di loghi e simboli, eccetto il ripostiglio del carbone.

"È stato un percorso inverso, il nostro", racconta Francesca Cabrini, figlia di Roberto e attuale titolare del vasto magazzino della Brera in, e le si illumina il volto quando parla del padre che definisce giovane: "Prima è nato il negozio, poi l’azienda che distribuisce anche all’estero prodotti col marchio Mirabello."

Un lavoro di ricerca e di attenzione alle richieste dei clienti quindi…

"Certo, Mirabello si presenta al pubblico con proposte interessanti. Gli scaffali in legno dove gli articoli sono sistemati per gamma di colore, la regalistica nelle forme più originali, i fiori stampati a grandezza e colore naturali che rendono le stoffe simili ai campi di Van Gogh ."

Tra tele di percalle e di satin spunta anche il tessuto Louisiana: è nato qualche anno fa in casa Cabrini ed è stato chiamato come la patria del cotone. Morbido e setoso al tatto, appare brillante e luminoso come una stella com





E M.A.C disse: gioca con il tuo aspetto!

"Abbiamo scelto uno stile minimalista perché vogliamo che tutta l’attenzione sia per i prodotti e la nostra creatività". Ad accogliermi è Barbara De Poli, 28 anni, shop manager di M.A.C Cosmetics (via Fiori Chiari 12, tel. 0286.995.506, http://www.maccosmetics.com), prestigiosa boutique del make-up. Parente molto più stretto del creativo Macintosh della Apple che del massificato McDonald's delle hamburger, il M.A.C stupisce per la sua essenzialità: all'interno, semplici pareti bianche – eccolo lì, lo stile minimalista! – ma, da esse, un’esplosione vivacissima di colori.

Francesca Sarzi

A girellare per il negozio infatti si ha la bizzarra impressione di trovarsi all’interno della tavolozza di un pittore. Notiamo prodotti per occhi in confezioni che paiono tempere: M.A.C gioca con l’idea del make-up come arte pittorica ed espressione di estro creativo. Non sarà mica un caso che il negozio sia in Brera, Quartiere dell'Arte per eccellenza. Ed eccolo comparire, il pittore, quello della tavolozza. Ed eccolo comparire, il pittore, quello della tavolozza: Stefano Ghidoni, 25 anni, truccatore, "pintore di volti". Perché da M.A.C puoi fare sedute di trucco per riinventarti un volto in occasioni particolari e seguire lezioni di trucco per imparare a giocare con la tua immagine ogni volta che ti va. E perché no, somigliare per una sera alla fascinosa Barbie o diventare una trasgressiva punk-rocker, che mi spiegano sono le nuove tendenze dell’anno. Magie d’arte, miracoli del trasformismo, giochi dell’immaginazione.





Coloratissimi, i cosmetici M.A.C nascono con l’intento di soddisfare le esigenze "All Ages All Races All Sexes". "World oriented", per dirla con Barbara in due parole (in italiano ce ne vorrebbero di più, ma l'inglese vivaddio è una lingua sintetica). Chi entra da M.A.C trova quello che cerca e anche quello che non si aspetta. Ed è guidato nella scelta di articoli e toni con "fantasia, conoscenza ed un sorriso", promette Barbara.

Poi c'è tutto l'impegno sociale ed ecologico. Chi acquista uno dei 3 rossetti creati appositamente per la campagna "Viva Glam" contribuisce, con il ricavato, a combattere la lotta contro l’Aids. Con l’iniziativa "Back to M.A.C", restituendo 6 prodotti in plastica, si avrà un rossetto in omaggio. E nessun prodotto è testato su animali. Prima di andarmene saluto calorosamente anche Kalinca Costa, 26 anni, esperta in body painting. Non me ne meraviglio affatto.




Maglie di Jucci, maglie di Bellomi

"È un bel lavoro, il mio: c’è molta creatività. Anche nelle cose semplici. Ci vuole entusiasmo in quello che si fa". E di entusiasmo ne ha da vendere, il signor Pietro, 61 anni, proprietario della maglieria Jucci Bellomi (via Mantegna 1, tel. 0234.903.50, n. verde 8002.1073): "Jucci è mia moglie, Bellomi sono io", spiega cordiale, e passa a raccontare la sua storia.

Francesca Sarzi

C’era una volta un maglificio che lavorava per un grande magazzino, ma con poche soddisfazioni. Un bel giorno il suo titolare legge su un giornale: "C’è una Milano da scoprire. Una Milano sulla quale investire". Letto, fatto. Questa frase è la spinta che porta all’apertura, nel 1993, di quello che Bellomi chiama affettuosamente, e non senza orgoglio, il suo "spaccio-boutique" di via Mantegna. Viva l’intraprendenza.

Da oltre trenta anni Bellomi produce e vende maglieria. "Lo stile è classico". Il suo cliente tipo è "la sciora milanese della buona borghesia, affezionata alla tradizione, che vuole vestirsi bene e risparmiare". Classico sì, "ma non vecchio", tiene a precisare, "semmai contemporaneo" — è contento della definizione che ha appena coniato, e se la segna compiaciuto su un foglietto per futuri usi pubblicitari.

Perché dovete sapere Bellomi fa anche il pubblicitario, oltre che commesso e un sacco di altre cose: "Faccio il Jolly", ride. E subito chiarisce: i suoi modelli sono all’80 per cento sempre gli stessi, con qualche aggiunta di modernità, "per far contenta sia la madre che la figlia". Ma il più è tradizionale, perché il suo credo "è produrre e vendere senza seguire, o quasi, alcuna moda: essere autentici".

Questa è la vera anima del negozio. È bello come lavora Bellomi, ha il sapore antico dell’artigianato. Quello che manca lo si rimpiazza al volo. La signora che ha rovinato il sottogiacca (le stava così bene!), sa di poterlo ricomprare. Il modello che piace viene fatto su misura. Il cliente deve diventare l’amico che torna, perché, uno! è esaudito ("la donna con un po’ di chili trova ciò di cui ha bisogno"), due! non è mai deluso ("i nostri filati sono pregiati, i prezzi ragionevoli") e tre!, è coccolato ("l’atmosfera è accogliente, il personale discreto, non opprimente"). Quello cui aspira, mi confida Bellomi, è che il cliente gli dica: "Conosciuta la Jucci Bellomi, non saprei più comperare da altri". Una grande soddisfazione. Del resto, l’ha già avuta più di una volta.

 

 



Eugenio il gallerista

Grande successo continua a riscuotere la mostra fotografica dedicata ai ritratti femminili di Irina Ionesco presso la Galleria 70 (via Moscova 27, tel 0265.978.09). I venticinque metri quadrati di un’ex macelleria sono dal 1993 il quartier generale di Eugenio Guittetti che della galleria del padre, a Potenza, riprende il nome di battesimo, adottandone, per amarcordica affezione, lo stesso elegante logo.

Rosetta Griglié

Diffusore dell’avventura artistica degli anni Settanta il padre, grande sostenitore del gruppo Cobra — sua l’esclusiva mondiale dal 1975 al 1978 dell’opera di Martin Bradley, sua la prima mostra italiana di Anton Rooskens nel 1973, sua la promozione di un artista come Corneille nel centro sud della penisola — il figlio ne segue dal vivo l’attività "apprendendo dall’esperienza diretta, cose che non si studiano". Così a diciott’anni è già gallerista e si laurea poi all’università in psicologia dell’arte con una tesi sull’arte pop.

Gli inizi, che coincidono con la guerra del Golfo e l’inchiesta "Mani Pulite", non sono facili. Ecco perché Guittetti decide di abbinare ai quadri oggetti e gioielli di piccolo antiquariato di origine cosmopolita — americani, francesi, inglesi, tedeschi. Ha ormai clienti abituali, che inseguono la qualità indipendentemente dal nome, che acquistano bei pezzi anche senza spendere tantissimo. È insomma il concretamento di un sogno: una galleria sua dove esporre cose belle senza sottostare alle sole arcigne leggi del mercato.

La prima mostra milanese della Galleria 70 è un omaggio a Verdi attraverso la serie grafica di Corneille, nel 1994 arriva invece una retrospettiva di Lucebert, la prima dopo la sua scomparsa. Poi ospiterà a più riprese Gilgogué, fino alla prossima mostra monotematica, a lui dedicata, sul volto. E nel maggio 2002 è prevista una mostra della pittrice olandese Ans Bakker.





Quel gioiello dev'essere mio
(e solo mio, disse l'artista)

Il gioiello deve essere di chi lo indossa e solo suo: "Si sente il bisogno di tornare a qualche cosa di più umano, del fatto a mano, come un desiderio in costante aumento di riappropriarsi di sé stessi, del proprio corpo". Gillo Dorfles, critico d'arte e grande studioso del gusto e dell'estetica contemporanea, spiega così l'interesse dell'ultimo periodo verso il gioiello artigianale.

Roberta Lombardi

In questa filosofia si riconosce Fabio Cammarata di Cammarata Gioielli (largo Treves 2, tel. 0229.003.746) che ha inaugurato nel maggio 2000 il negozio in cui produce e espone i suoi gioielli. Il progetto viene incontro alla mancanza nella città di una galleria del gioiello contemporaneo prezioso. Ospita anche le opere di importanti designer e si propone la promozione di giovani artisti emergenti. Ciò che accomuna i pezzi è la ricerca progettuale che sta dietro la sperimentazione formale e delle tecniche artigianali. Per esempio la granulazione, la commistione tra oro e ebano, l'uso di conchiglie con pietre semipreziose e perle.

Il gioiello recupera tutta la sua funzione, diventa veicolo attraverso quale l'uomo si esprime, si riconosce nello sforzo proprio dell'artista di comunicare attraverso la materia. Ci sono pezzi unici o collezioni comunque limitate, perché si ricerca l'unicità, la particolarità. È la risposta ad una produzione di massa che facendosi tutta uguale finisce per perdere un suo significato, diventando una scintillante e muta icona. Come dice Dorfles, ci vuole "una rinascita dell'alto artigianato che si pone vicino all'arte, piuttosto che un finto design che non ha l'aspetto artigianale".



I misteriosi tappeti di Manukian

Tappeti che sono quadri. Ora ci appaiono come immagini di giardini traboccanti di fiori. Ora, nell'intrecciarsi di forme sinuose o geometriche, diventano messaggi cifrati di un'armonia che sembra appartenere ad un altro mondo. Questi sono i tappeti che si trovano da Giacomo Manoukian Noseda (piazza San Simpliciano 2, tel. e fax 0280.516.37). Il negozio è specializzato nella vendita e restauro di tappeti antichi e del loro lavaggio a mano. Vende inoltre mobili, stoffe e scialli, sculture e complementi d'arredo.

Roberta Lombardi

Pezzi che provengono da tutto il mondo, ma specialmente da Asia centrale, Persia, Turchia e Cina. Nell'antico Oriente, a causa dell'iconoclastia, i tappeti sono stati la principale forma di espressione artistica. In essi si ritrova l'intera cultura del popolo che li ha prodotti. Si spiega così la preferenza per l'Oriente di Giacomo Manukian, titolare del negozio ed esperto di tappeti antichi: "Le mie scelte sono del tutto soggettive, ciò che cerco è l'armonia, la gioia, il sentimento di positività e la spontaneità che i colori e le forme trasmettono". Manukian ha aperto sette anni fa, ma prima aveva già collaborato per altri tredici con una galleria di tappeti a Como.

Sono tanti i generi presenti, tra cui i persiani, i kilim, i tappeti di lana lunga dell'Uzbekistan a cui il disegno lineare e i colori incisivi danno un aspetto modernissimo. E persino i copridorso per cammelli di feltro, trasformati in originali arazzi. I tappeti, tutti annodati a mano e dai colori naturali, esprimono tutta una concezione del mondo. Uno avverte la profonda spiritualità della cultura orientale, l'equilibrio, la pace interiore. Dall'Europa ci sono esemplari dello Jugendstil e dell'Art Nouveau.

Anche gli altri oggetti sono stati selezionati con gli stessi criteri. Ci sono altari cinesi in legno di tigre, antichi abiti turcomanni, stoffe di seta intrecciate d'oro, scialli Kashmir, panche cinesi la cui forma ondulata richiama il copricapo dei preti taoisti. Sembra che da questi manufatti si sprigioni quell'energia che gli uomini orientali attribuiscono alla natura, come se l'artista vi avesse infuso un'anima. L'impressione che si ha a guardarli è che ciò sia del tutto possibile… e normale.





Poesia della cucina da Punto Servizio Casa

"La cucina è l’ambiente più complesso della casa" – spiega Serenella Bazzana, giovane e simpatica architetto, prodiga di saggi consigli. In una decina di metri quadrati in effetti si condensa lo stile di vita, la psicologia, la quotidiana economia domestica di una o più persone. Nel ’98 si inaugura dunque in Brera un’insolita boutique, cioè Punto Servizio Casa (piazza XXV Aprile 3, tel. 0229.004.848). Non borsette, non scarpe, non vestiti, non gioielli, ma cucine-gioiello belle e intelligenti per le casalinghe e i casalinghi del XXI secolo.

Albino Magenta



Forti dell’esperienza già maturata con successo dal ’96 in un altro Punto Casa in viale Piave, Lorenzo Marzorati e soci aprono un punto vendita per cucine multimarche (da Berloni a Bosch a Euromobil) ed elettrodomestici da incasso (Miele, Ariston, Smeg, Rex, Nardi, Whirpool, Siemens, Bosch, Alpes, Baraldi, Elica, Franche, Blanco ed altri). Cucine e accessori insomma per tutti i gusti e per tutte le tasche disponibili presso un negozio che offre, accanto alle tecnologie avanzate, il gusto della "bottega artigianale" che realizza alla lettera, su disegno da falegnameria, i desideri del committente.

"La scelta di una cucina assomiglia quasi a una riunione di famiglia", dice Marzorati. Una vera e propria conferenza in cui i diretti interessati – in più puntate – lungo un arco di tempo di trenta ore circa disegnano con gli esperti la "loro" cucina. Quasi una psicoanalisi del focolare domestico. In questo modo con il cliente si arriva spontaneamente al tu, creando un giro di passaparola che allarga la fascia del pubblico attraverso una rete di amicizie e non di impersonale pubblicità.

Dato curioso: metà dei clienti arrivano dall’hinterland milanese, evitando proprio i grandi poli commerciali fuori porta che offrono prodotti molto ben "truccati", ma con poca assistenza e qualità non sempre certa.

Non ci si stupisce quindi che il team di Servizio Casa abbia registrato due anni in crescendo con cucine commissionate ed esportate anche in Costa Azzurra, Sicilia, Liguria, per seconde case dove spesso è difficile trovare un riferimento e una professionalità adeguati. Progetti per il futuro? Chissà, fare un salto anche fuori dalla cucina.







Il Portale degli artisti

Nasce su Internet un Portale ideato per divenire punto d’incontro tra gli artisti, l’istruzione artistica, la critica, le manifestazioni, le Associazioni culturali. Molti siti Internet sono dedicati all’arte e a tutto il suo contorno, ma visto il loro numero elevato, si è pensato di farli confluire in un unico portale. Molteplici sono i lati positivi di tale iniziativa. Innanzitutto funge da vetrina per ogni singolo artista che avrà a disposizione un proprio spazio con relativo indirizzo Internet ove collocare fotografie, il recapito, recensioni, ecc. E’ un punto di riferimento per coloro che desiderano avvicinarsi al mondo dell’arte conoscendo i vari artisti, i vari Istituti d’insegnamento, le manifestazioni culturali in Italia, ecc. Invita diversi critici d’arte a partecipare mediante la pubblicazione di critiche a opere nuove o meno recenti. Infine offre alle molteplici Associazioni culturali uno spazio d’incontro per far conoscere le proprie iniziative e la propria ubicazione. Sono presenti ben 48 categorie di artisti e ogni categoria è suddivisa in 18 Regioni, visto che il portale ha carattere nazionale. Il coordinatore del portale è Gabriele Vilardo, info@ilportaledegliartisti.it.







Hostarie Vecjo Friûl, le lys dans via Rosmini

(Ottobre 2001) Ricordate il romanzo di Balzac, Le lys dans la vallée? La sorpresa dell'Hostarie Vecjo Friûl (via Rosmini 5, tel. 0233.601.498) è del tutto analoga a quella del protagonista balzacchiano. In una via dall'aria normale c'è un vero ma insospettato tempio della gastronomia.

Brerus

Officiante, per 28 fedeli su altrettanti coperti, l'impareggiabile Giuliano Macassoli, milanese che ha scelto il Friuli, da sempre ristoratore e da che ha ripreso l'Hostarie anche insigne enotecaro. Contando anche le diverse annate, offre una scelta fra 1100 vini. Se poi uno oltre a comprarsi una bottiglia di vino vuol mangiare, ha due alternative. O telefona e dice: vengo un mezzogiorno con enne amici. Oppure si reca da Giuliano alle otto, prima che si abbatta l'ondata dei micascemi più tardivi, e si fa aprire il giardino delle delizie.

Quod fecit insignis Brerus (scusate per l'imbrodatura, ma se non mi lodo da me non lo fa proprio nessuno) cum Papiensi Commensali. L'ambiente è piccolo e raccolto, con piatti portoghesi e altri di grande gusto (falsamente non raffinato, in realtà meditatissimo). Coperti all'americana in carta da macellaio anni Cinquanta, stesso discorso. E subito Macassoli ci serve un Tocai Pinot Grigio trentino Château de Vattelapèches (pardon, ma anche Brerus a volte si scorda di prendere nota) a vendemmia tardiva, lievissimamente abbocato, con un incredibile mazzolino di frutta che ti riempie le narici di banana, albicocca e fichi. "Fa da aperitivo!?" mi stupisco. "Fa da aperitivo", conferma la Commensale Pavese, "ma il vero problema è: noi come facevamo a vivere, prima?"

Eravamo appena all'inizio. Giunge in tavole un'insalata di porcini freschi del Trentino, finalmente senza scaglie di parmigiano (grande formaggio, intendèmes, ma non adatto né per il gelato né per i porcini crudi), con l'olio giusto (toscano, non troppo forte, non troppo sciapo). Subito dopo un pâté de foie gras, con un fondo acidulo perfettamente bilanciato dall'incredibile straordinaria marmellata di cipolle (!) servita insieme. Quindi un dispiegamento di salumi impareggiabile: uno straordinario San Daniele, un prosciutto cotto che molto loda la Commensale, un'eccellente pancetta, un notevole e originale salame d'asino e due varianti di salame d'oca che l'inclito Macassoli prende alla Corte dell'Oca di Mortara, la quale è per il nobile volatile quel ch'era Montanelli per il giornalismo italiano. Brerus fa solenne voto di tornare presto da Gioacchino Palestro, appunto alla Corte dell'Oca, dove ebbe a trascorrere un'indimenticabile cena con altri mangioni (pardon, volevo dire gourmet).

Anticipando il giudizio di Scrooge, bisogna dire che la qualità si paga, ma perfino Scrooge ammette a malincuore che qui non la si paga neanche tanto. La qualità è anche e sopra tutto nel vino: ci arriva un Saloncello, fatto con uva Nebbiolo in Valtellina. Non molto corposo per essere un Nebbiolo, ma – al solito, al solito! – raffinatissimo. Poi assaggiamo un Cabernet Sauvignon del piccolo produttore Renzo Gorga, talmente profumato che a Brerus ha fatto venire i brividi e la pelle d'oca, per la prima volta in vita sua (mia). La Commensale Pavese ha invocato un letto per poter più comodamente svenire. Cari lettori, a questo misurerete l'abnegazione e l'altruismo di Brerus: di un tale vino non avrei dovuto parlare, per poterlo bere tutto io in nietzschiani infiniti ritorni da Macassoli: invece ho registrato l'esperienza: non bevetemelo tutto!

Rinunciamo ad assaggiare i primi, ma non perché non ci attirino, e assaggiamo invece il piatto dei formaggi: disposti torno torno sono Valsassina, Taleggio di grotta, Capra al sambuco, Capra di Bocasso, Camembert stagionato, Fossa di Sogliano di un anno e mezzo e Serena, un formaggio vegetale di Tenerife. Al centro, una confettura di anguria bianca senapata. Su questa ottima piccanzìa assortita beviamo un Sauternes che sa di camomilla, e la Commensale Pavese racconta un aneddoto su un Sauternes bevuto, of all places! a Oslo, magico rimedio a una delusione amorosa. I formaggi sono squisiti, ma a questo punto confesso, ce lo aspettavamo.

Mentre sorseggiamo un Armagnac all'arancia, amabile e non dolce come il più celebre Cointreau, chiacchieriamo con le Lys dans via Rosmini, al secolo Giuliano Macassoli, di whisky. Macassoli ama i sapori forti, perciò antepone lo scozzese all'irlandese, e fra gli scozzesi spregia il Laphroaig, che invece Brerus apprezza. Meglio ancora Giuliano apprezza i rhum, e con occhi sognanti vanta un certo Demerara 100 anni che è nero come il carbone.

Siccome Brerus ogni tanto deve bene mostrare che a lui non la si fa, sentendomi incontentabile faccio un'osservazione sulla qualità del pane, l'unico alimento che non sia stato all'altezza (stratosferica) del resto. "Che vuole mai, caro Brerus", mi risponde Macassoli con franchezza, "da una ventina di giorni il mio panettiere di fiducia traligna!" E subito snocciola i nomi di altre panetterie adeguatissime, una delle quali già nota a Brerus e un'altra alla Commensale.

Difficile, molto difficile a questo punto dare istruzioni per l'uso adatte al locale. E se provaste ad andarci verso le sei del pomeriggio per una "merenda sinoira", come dicono i piemontesi, cioè una merenda a ora tardella che trascresce agevolmente in cena? O a mezzogiorno, previa prenotazione? Unica avvertenza: Macassoli lavora con un assistente solo, non è mai bene prenderlo di sorpresa. Avvisatelo prima.






Piatti bicchieri & C.

Meraviglia è il nome del calice, e nasce dalla collaborazione fra l'enologo Donato Lanati e Accornero (via Ponte Vetero 17, tel. 0289.096.297). La forma è strana, un bulbo con un rigonfiamento alla Bibendum (appunto). Le caratteristiche meravigliose consistono nella possibilità di aerare alla perfezione un bicchiere di vino vecchio, e di bere senza preoccuparsi dei sedimenti, ché tanto si depositano sul rigonfiamento di cui sopra. Benvenuti a uno dei più chic fra i negozi di piatti, bicchieri & C. del centro di Milano.

Paolo Brera

Che è poi l'emanazione in guisa di showroom (200 metri quadri, fra sopra e sotto) di un'impresa del Monferrato, fondata dai coniugi Bruno e Marcella Accornero nel 1953, oggi felicemente specializzata nella produzione di design, gli oggetti essendo poi realizzati in gior per il mondo. Dalla tavola al complemento d'arredo, dal funzionale al decorativo, l'importante è il gusto.

"Il nostro mercato è medio-alto", spiega Ettore Accornero, direttore generale: "Il target è il consumatore amante della casa e la nuove coppie che vogliono fare una lista di nozze o di convivenza". Ma anche il single (in Italia siamo 8 milioni), al quale è dedicata la linea Colorap: piatti e ogni altro casalingo in confezioni di due, perché single sì ma sempre soli no di sicuro.

E comunque, con gusto. Il calice Meraviglia, per esempio, è interamente artigianale, soffiato a bocca e lavorato a mano, perché in tal modo si adatta perfettamente all'altro prodotto artigianale che è il vino. Accornero non si limita a venderti il recipiente, offre anche il prezioso liquido, insieme a vasetti di salse e conserve tipici delle terre monferrine e mandrogne. "Perché da noi la gente viene per comprare i contenitori ma se glieli offriamo, accoglie bene anche i contenuti", dice Accornero.






La mitica macchina per scrivere di Brera
donata dalla famiglia al Museo del Calcio

I Senzabrera, come li ha definiti Gianni Mura in un famoso articolo, sono coloro che sentono la mancanza di Gianni Brera e si domandano che cosa avrebbe detto o scritto il Giôann di questo o quell’avvenimento sportivo o culturale o gastronomico. In effetti il vuoto che ha lasciato Brera quando se ne è andato, rapito da un incidente d’auto nel 1992, era incolmabile, ed è ancora oggi incolmato.

Marco Ceccarini

Ma ora è uscito il libro dei libri. Si tratta di Gioannfucarlo. La vita e gli scritti inediti di Gianni Brera, che uno dei figli di Gianni, Paolo Brera, anche lui giornalista oltreché ex assistente di Storia economica alla Bocconi, ha scritto a quattro mani con un giornalista della Gazzetta di Parma, Claudio Rinaldi, per i tipi del Regisole di Pavia.

Il libro, con una sublime prefazione di Bruno Pizzul, è corredato da una ricca documentazione fotografica proveniente dall’archivio di famiglia. Paolo Brera e Claudio Rinaldi hanno girato l’Italia per illustrare la loro fatica editoriale. Dopo essere stati presentati da Pizzul al Circolo della Stampa a Milano, sono stati al Museo del Calcio di Coverciano a Firenze.









È Paolo Brera a parlare per primo. Telegrafico il suo esordio:
"Ho solo voluto dare seguito al comandamento che dice onora il padre. Non so se ci sono riuscito, però ci ho provato". E ancora: "Io mi sono occupato del Brera che non ho conosciuto, la giovinezza e le prime esperienze giornalistiche, la chiamata a Milano da parte della Gazzetta dello Sport, la sua grande avventura al tour de France del 1949, quello di Fausto Coppi, fino al suo ritorno in Italia e alla sua nomina a direttore della rosea. Dieci giorni dopo sono nato io. Lì si ferma la mia parte, e anche così ci sono voluti otto anni di lavoro di ricerca". Subentra Rinaldi: "Io invece ho raccontato la storia del giornalista che tutti noi, o quasi, abbiamo conosciuto. Ho detto di quando ha sbattuto la porta alla Gazzetta ed è andato al Giorno, poi le amicizie con alcuni personaggi del mondo calcistico, in particolare con Nereo Rocco, le sue apparizioni in tv, l’attività di scrittore, l’avventura a Repubblica, e via dicendo, compreso il suo stile ineguagliabile".

La chiacchierata si è svolta nei bei locali del Museo del Calcio. Poco lontano c’era una Olivetti Lettera 62, una vecchia macchina per scrivere meccanica che i giovani giornalisti di oggi, forse, non sanno neppure come si usi. In bella mostra, infilato nel rullo, un foglio ingiallito con scritto a mo’ di titolo Storia critica del calcio italiano: sotto, l’attacco di un libro famoso. È la portatile con cui il Gioann scriveva i suoi memorabili articoli, la mitica Olivetti di Gianni Brera. Il figlio l’ha appena regalata al Museo del Calcio. Qualcuno commenta: "È un po’ come la maglia nera della nazionale di Silvio Piola" (che è già a Coverciano). E dunque dove poteva e doveva stare, se non al Museo del Calcio? Paolo ha colto al volo l'occasione della presentazione del libro per consegnarla, dono della famiglia, nelle mani del direttore Fino Fini.






Museo del Calcio, la memoria storica
del "gioco più bello del mondo"

La storia del calcio in centinaia di cimeli: dai trionfi del ’34 e del ’38 a quello di Spagna ’82, e poi avanti fino ai giorni nostri, passando per luci e ombre, vittorie e sconfitte, gioie e delusioni. Il Museo del Calcio di Coverciano (viale Aldo Palazzeschi 20, Coverciano-Firenze, tel. 055.600.526, info@museodelcalcio.it) è una raccolta di emozioni. C’è la maglia di Piola e quella – nera, per ordine del Duce – indossata da Biavati nella finale Italia-Francia del ’38. C’è il ricchissimo medagliere di Giovanni Ferrari e ci sono le scarpette di Zoff della finale del Bernabeu. E poi, coppe, gagliardetti, palloni, autografi; oltre 40mila fotografie digitalizzate e 700 filmati.

Claudio Rinaldi

"L’obiettivo è fare cultura", spiega Fino Fini, "padre" e "anima" del museo. "Vogliamo proporre ai visitatori un affascinante percorso culturale nella storia del calcio". Fini è, a sua volta, un pezzo di storia del mondo del football di casa nostra: medico della Nazionale dal ’62 all’82, ha visto nascere il centro tecnico di Coverciano, nel ’58, e – dopo averlo diretto per trent’anni – non se n’è più allontanato.

A Coverciano si tengono i raduni della Nazionale e degli arbitri, ci sono le scuole per allenatori di prima e seconda categoria, vengono organizzati corsi per preparatori atletici, congressi e sessioni di aggiornamento per tecnici e medici. Dal maggio dell’anno scorso la "casa" della Federcalcio si è arricchita del bellissimo museo, "che continuerà ad ampliarsi – spiega Fini – perché siamo costantemente a caccia di cimeli significativi della storia del calcio. Il prossimo obiettivo è la multimedialità: allestiremo un sistema touch-screen per poter sfogliare virtualmente un album di foto e di spezzoni di video che racconta la storia del calcio, facendo rivivere bellissime emozioni".






Ottant’anni in Jamaica

Per celebrare gli ottant’anni del bar Jamaica (via Brera 32, tel. 0287.6723, info@giamaicabar.it), a pochi mesi dalla scomparsa del patron Elio Mainini, la famiglia ha organizzato nel locale una mostra fotografica che rievoca l’epopea del grande ritrovo di intellettuali che il Jamaica è stato negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso e tuttora in parte rimane. Jamaica – Il caffè degli artisti visto attraverso l’obiettivo dei suoi fotografi è il titolo dell’esposizione, che offre cinquanta fotografie d’autore come quella qui accanto, di Ugo Mulas. Altri artisti dell’obiettivo rappresentati sono Uliano Lucas, Alfa Castaldi, Mario Dondero, Carlo Orsi, Ennio Vicario, Carlo Orsi, Carlo Cisventi, Guido Cegani, Giancarlo Moroldo, Giovanni Ricci e Fabrizio Garghetti, e scusate se è poco.



 

L’Olimpo giamaicano

Ugo, Ugo Mulas, per esempio, l’ho conosciuto nei primi anni Cinquanta a un "Convegno di poeti", in una galleria d’arte in via Borgogna. Perché Ugo, allora, voleva fare il poeta. E subito dopo l’ho ritrovato al Giamaica. Voleva sempre fare il poeta, e naturalmente non aveva mai una lira, e allora un giorno Pietrino Bianchi gli ha detto "Perché non mi fai qualche fotografia per il mio settimanale?", e Ugo ha detto di sì e poi si è fatto prestare una macchina fotografica e, incredibilmente, di punto in bianco, ha fatto una serie di fotografie splendide sulla Liguria di Montale e si è reso conto che fare il fotografo gli piaceva e così è diventato quel grande maestro della fotografia contemporanea che adesso tutti conoscono.

Emilio Tadini

Perché ho raccontato questa storia? Solo per fare un esempio di quello che era allora il Giamaica. E anche di come il Caso facesse parte di quel piccolo Olimpo di Dei Minori che – credo che in fondo ne fossimo tutti sicuri – vegliavano su quel luogo magico e sui suoi abitanti. (Uso la parola "abitanti" perché molti di noi passavano più tempo al Giamaica che a casa propria).

Erano tanti, i fotografi, al Giamaica. Come i pittori, gli scrittori, i cineasti, i giornalisti. O, per meglio dire, erano tanti i giovani che si erano messi in testa di fare uno di questi mestieri – e che sarebbero riusciti a farlo, e, in molti casi, anche benissimo. (E naturalmente non bisogna dimenticare l’aiuto che ognuno di loro credo proprio abbia ricevuto, prima o poi, da quel povero Olimpo efficientissimo che si spostava a mezz’aria dal "giardino" all’interno del Giamaica – sempre strapieno di gente e di fumo nelle serate lunghissime, fino a notte inoltrata).






Ogni tanto, mi ricordo, da mezzogiorno e mezza alle due, o verso sera, quando se bevevo il bianco ai tavolini, o dopo cena, uno del Giamaica tirava fuori la macchina fotografica e faceva qualche fotografia – all’aperto, se era bel tempo, o, se il tempo era cattivo e faceva troppo freddo, dentro, sullo sfondo di piastrelle bianche. E forse, in quei momenti, ognuno di noi fotografati, senza neanche pensarci e certo senza volerlo, si metteva in posa per qualche futura storia che non importava assolutamente che si realizzasse o no, perché tanto doveva sembrarci già abbastanza realizzata proprio nei sogni che più o meno pigramente ci figuravamo in testa e che forse ci sembrava già di poter vedere, abbozzati alla meglio, sul tavolino, vicino ai bicchieri.

Quasi tutti quei fotografi sono diventati grandi, famosi. Ma per chiunque sia nato e cresciuto al Giamaica le loro fotografie più belle restano quelle là, con quattro o cinque giovani molto giovani seduti sulle poltroncine di ferro nel "giardino", o dentro, contro lo sfondo di piastrelle bianche, in vaghe pose sognanti e incomprensibili, davanti a un bicchiere di bianco e ad altre cose – cose invisibili, queste, eppure, a guardare bene, specchiate confusamente nelle loro pupille e magari anche raffigurate come enigmi da quattro soldi nelle pose di quel loro orgoglio inconsistente, fin troppo vulnerabile…

È quasi inutile dire che, intanto, gli Dei Minori dell’Olimpo Giamaicano continuavano a vegliare. E che, tranquillamente, senza dare nell’occhio, continuavano a darsi da fare i loro rappresentanti in terra – a livello del pavimento, diciamo. La signora Lina, l’Elio…








I tappeti Nader sfidano il tempo

"È un’arte povera, che nasce dai villaggi, ben lontana dai fasti delle Mille e una notte". Karim Sobouti, antiquario per vocazione non per eredità di scettro, è uno specialista di tappeti antichi caucasici e anatolici. Approda a Milano subito dopo la rivoluzione khomeinista. Sceglie di iscriversi alla facoltà di Architettura, indirizzo urbanistico. Una collaborazione casuale lo introduce però nel magico mondo del tappeto ed è così che nasce nel ’96 la galleria Nader (via Moscova 27, tel. 0229.006.397). Partito da sotto zero ma mosso subito da autentica passione: "Avevo solo vent’anni, ma credevo in quello che facevo".

Rosetta Griglié

Sono tappeti che sfidano le rughe del tempo ostentando colori puri nitidi primordiali, che escono dalla trama come gemme preziose. Sobouti partecipa con grande interesse a tutte le mostre nazionali ed internazionali ed ogni anno ne organizza una a tema nel suo atélier-galleria. Quest’anno il titolo è I tappeti del XIX secolo, dal 23 novembre al 29 dicembre, orario 10.00 – 20.00.

È un periodo particolarmente felice del tappeto caucasico e anatolico, che segue esclusivamente il fabbisogno interno senza occhieggiare al mercato occidentale. Arte genuina, insomma, che alla fine del secolo verrà "corrotta" e corretta dall’interesse degli americani per il tappeto, modificando quindi le fattezze e operando dei cambiamenti nelle tecniche di produzione a beneficio di un manufatto più "moquettoso" (oltreoceano si pretendono almeno due cm sotto i piedi) e di più ampie dimensioni.

L’Ottocento permette inoltre di godere di pezzi autentici senza arrivare al collezionismo ultraricercato e ultracostoso del Sei-Settecento. Attenzione però al miraggio del tappeto come bene rifugio. Il bello costa (e dall’11 settembre a oggi i prezzi sono triplicati, come si è registrato nelle ultimissime quattro aste internazionali). Ecco perché bisogna fare attenzione agli imbonitori. Il bello recente costa quanto il bello antico. Non esistono affari d’oro, anche se Milano è una delle piazze migliori del mondo, ed è oggi molto vicina a New York dopo aver detronizzato Londra. È inoltre importante quando si decide l’acquisto di pretendere un ottimo stato di conservazione.

Consigli di manutenzione? Intervenire subito ai primi segni di usura e lavare i propri preziosi ogni quattro o cinque anni. Ma se volete profittare di altri consigli d’esperto doc fate una capatina chez Monsieur Sobouti (a proposito, Parigi come antiquariato di tappeti non esiste proprio).





Libri per i Senzabrera

Senzabrera, li ha chiamati Gianni Mura in un memorabile articolo. Sono quelli che sentono la mancanza di Gianni Brera, che si domandano spesso che cosa mai avrebbe detto o più ancora scritto il Giôann di qualunque avvenimento sportivo o gastronomico o letterario che li colpisce. Gianni, insomma, ha lasciato un bel vuoto.

Rosetta Griglié

Giannibreramania, l’ha chiamata il settimanale Panorama. Si parla della quantità di iniziative che vengono prese per onorare Brera, dai tornei di calcio — finora cinque, di cui due, a Cantù e a Trezzano sul Naviglio, sono ormai diventati appuntamenti fissi del calendario dello sport — fino alla mostra fotografica che Ambrogio Fusar sta trascinando in giro per l’Italia, dal Premio Gastronomico dei cuochi pavesi pensato e diretto da Mario Musoni.

E ancora quello letterario che si svolge tutti gli anni a San Zenone al Po, paese natale dello scrittore e giornalista, e che "laurea" tre scrittori che si riallacciano in modo efficace alle tradizioni regionali, di qualunque regione d’Italia.

Sono intitolate a Brera una ventina di vie del Nord Italia (nemmeno una piazza, peraltro: e chissà mai perché), diversi impianti sportivi, un vino — lo Zuanne, dell’amico Vittorio Moretti, che possiede l’Azienda Agricola Bellavista. Esiste un Simposio Gianni Brera che ne prosegue l’opera in campo gastronomico ed esiste un Premio giornalistico assegnato ogni anno a un giornalista sportivo dai suoi colleghi dell’Associazione lombarda. Esiste, da quest’anno, un Premio Gianni Brera per lo Sportivo dell’Anno, e a metà novembre sarà assegnato a… be’, si fanno molti nomi, ma in realtà la giuria si riunirà solo più avanti nel corso del mese. Esiste, infine (se nulla ho scordato), la nostra rivista online e on paper che dedica sempre uno spazio alla giannibreramania, anche attraverso il sito curato da Marco Marangoni.

A Gianni Brera scrittore sono state dedicate, negli anni, numerose tesi di laurea. Oggi escono due libri, Giôannfucarlo. La vita e gli scritti inediti di Gianni Brera (Il Regisole, Pavia 2001, Lire 69.000) e I percome e i perché (Il Regisole, Pavia 2001, Lire 25.000), che è l’antologia dei racconti finalisti del Premio Gianni Brera con un’ampia sezione breriana dove compaiono diversi inediti (o… mal editi) di Brera.

L’introduzione alla biografia di Brera, scritta dal figlio Paolo e da Claudio Rinaldi, si deve a Bruno Pizzul e può essere letta clickando qui. Il volume è ampiamente documentato e ricco di fotografie inedite, oltre a contenere scritti di Brera risalenti addirittura all’anteguerra.

I percome e i perché offre una palestra agli scrittori animati da un forte rispetto per la propria e altrui identità regionale e pronti a metterlo su carta. È una lettura molto piacevole e, come si è già detto, la sezione breriana contiene molti scritti di Gianni Brera.

Entrambi i libri si trovano in libreria oppure possono essere richiesti direttamente presso l’editore Il Regisole - Selecta Srl (largo Panizza 4, 27100 Pavia PV, tel. 0382.304.262 ). Buona lettura!