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Buon
Natale con i
presepi di Bova
Marcella Perodo
Nader, i tappeti che
sopportano le rughe
Rosetta
Griglié
Jovanotti fa Sinestesie e
non s'annoia
Albino
Magenta
Cuba
e Cigair!
E Marx(Groucho)
ci mostra la via
(del tabacco)
Vittoria
Colpi
Ibiza:
reveni, revidi, revici
et latine (vani)loquor
Brerus
Notting Hill,
dove trovi tutto
Roberta
Lombardi
Un cestino che si ammira
e non si mangia
Vittoria
Colpi
E
M.A.C disse:
gioca con il tuo aspetto
Francesca
Sarzi
Maglie di Jucci,
maglie di Bellomi
Francesca
Sarzi
Eugenio il gallerista
Rosetta
Griglié
Quel gioiello dev'essere
mio (e solo mio, disse l'artista)
Roberta
Lombardi
I misteriosi tappeti
di Manukian
Roberta
Lombardi
Poesia della cucina
da Punto Servizio Casa
Albino
Magenta
Il
portale
degli Artisti
Hostarie Vecjo Friûl,
le lys dans via Rosmini
Brerus
Piatti
bicchieri & C
Paolo
Brera
La
mitica macchina per
scrivere di Brera
donata dalla famiglia al
Museo del Calcio
Marco
Ceccarini
Museo
del Calcio,
la memoria storica del
"gioco più bello
del mondo"
Claudio
Rinaldi
Ottant'anni
in Jamaica
L'Olimpo
giamaicano
Emilio
Tadini
I tappeti di Nader
sfidano il tempo
Rosetta
Griglié
Libri
per i Senzabrera
Rosetta
Griglié
I negozi gemelli
del design artigiano
Paolo
Brera
Con una supermostra
esplode la Milano picassea
Rosetta
Griglié
Il Samizdat dei poeti
della via Madonnina
G.
D’Ambrosio Angelillo
Alla
ricerca
del manzo perduto
Brunella
Bianchi
Boffi,
il grande design
entra in bagno
Marcella
Perodo
Artisti
in "Famiglia"
da 120 anni
Vittoria
Colpi
Qui
solo tappeti solari.
E di classico, niente
Rosetta
Griglié
È
vero oppure è falso?
La risposta cerchiamola
al Museo del Collezionista
Rosa
Gialdina
A
Barbianello da
Roberto e Mariarosa
Simposio
Gianni Brera
A
passeggio
con de Chirico
Osvaldo
Patani
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Buon
Natale con i presepi di Bova
Sono
circa dodici mesi che Renato Bova lavora al suo presepe.
Dai primi di dicembre, tutti lo potremo ammirare nelle
vetrine di Pietro
Mainero
(via Moscova 47/A).
Oltre alla scena della natività, Renato ha
realizzato anche alcuni personaggi singoli, che verranno
ospitati nelle vetrine di diversi negozi di via Solferino.
Marcella
Perodo
"Mi
fa piacere, in un mondo che perde i suoi valori, riproporre
qualcosa di antico, che mi ricorda la mia infanzia,
quando andavo a vedere i presepi e ne rimanevo incantato".
I presepi
non sono una passione passeggera per Bova, bella faccia
da San Giuseppe e chiare origini napoletane. Da anni
aspettava di potersene occupare a tempo pieno:
"Ho
approfittato dello ‘scivolo’ della pensione, nel ‘99,
per realizzare il mio sogno",
dice questo giovane pensionato di 56 anni, mentre
mi offre la pastiera preparata dalla moglie Wanda,
ovviamente napoletana come lui.
I
suoi "pastori" (come lui chiama, con affetto, i personaggi
del presepe) esigono tempo, tanto tempo, e una dedizione
pressoché totale: "Appena
sveglio, già ci penso... le idee nascono di
notte e si materializzano di giorno".
Fino
alla pensione, quindi, niente presepi: solo quadri,
soprattutto di persone, in cui l’ex ispettore di banca
sbrigliava il suo talento figurativo. E caricature
per i colleghi. D’altronde, per un appassionato di
volti, gesti, espressioni, quale miglior lavoro che
la banca? Chissà quanti ex-clienti ha ora immortalato,
inconsapevolmente, nei suoi pastori.
Il
gruppo visibile da Mainero è il classico presepe
alla napoletana: al posto della grotta c’è
il rudere di una villa pompeiana, che accoglie la
sacra famiglia; intorno, uno dei Re Magi, con la sua
orchestra di mori, un nobile, uno zampognaro, alcune
donne, l’angelo. Qua e là per via Solferino
potremo invece ammirare i mestieri tipici del presepio:
la friggitrice di zeppole, la castagnara, l’acquaiolo,
la venditrice di arance. Venti bellissimi pezzi modellati
con amore, abbigliati con grande cura e accessoriati
di tutto: lunghissima è la ricerca del materiale
per gli accessori, tutti confezionati con pezzi di
recupero. È un grande frequentatore di mercatini,
Renato, e in famiglia non buttano più via nulla,
perché non si sa mai… Assemblando parti di
diversa provenienza sono nati così gli strumenti
dei mori, il turibolo dell’angelo, la spada del nobiluomo,
il fornello della castagnara, eccetera.
Tutti
i personaggi, alti una trentina di centimetri, sono
costruiti come vuole la tradizione, con corpo in stoppa
e viso ed arti modellati in terracotta. Bova modella
a mano ogni viso, senza ispirarsi a personaggi esistenti,
per cui ogni figura è unica e irriproducibile.
Gli abiti sono tutti cuciti a mano; le stoffe provengono
in massima parte proprio dal negozio di Mainero. Nella
sua ricerca di scampoli e ritagli Bova ha conosciuto
Khaled Signorini, il proprietario, che gli ha poi
proposto di esporre nelle sue vetrine.
Già
autodidatta nella pittura, per creare i suoi personaggi
Renato ha dovuto imparare da sé molte altre
cose. Certi segreti del mestiere li ha carpiti direttamente
ai maestri napoletani di San Gregorio Armeno, la strada
dei presepi. Mi mostra una delle ultime figure realizzate,
che ha i tradizionali occhi di vetro: è orgoglioso
di essere riuscito a sapere come non farli sciogliere
durante la cottura della creta — e, naturalmente,
non me lo rivela!
"Mia
moglie pensava che, andando in pensione, sarei stato
di più a casa, invece è successo il
contrario..."
.
D’altronde,
la passione per l’arte è un’eredità
che, nella famiglia Bova, passa di generazione in
generazione: dopo il nonno e il padre, ora è
il momento di Amelia, 21 anni e un corso di pittura
all’Accademia di Brera.
Per
il prossimo anno, Bova ha in programma di aggiungere
degli animali e di ampliare la serie dei mestieri.
Molte figure, però, avrebbero bisogno di un’ambientazione
particolare, come ad esempio l’osteria o la fucina,
e quindi, a malincuore, non le può realizzare:
altrimenti,
"verrebbe
un presepe grande come Piazza Duomo".
Be'... e perché no, Renato!
|
Nader,
i tappeti che sopportano le rughe
"È
un’arte povera, che nasce dai villaggi, ben lontana
dai fasti delle Mille e una notte".
Karim
Sobouti, antiquario per vocazione non per eredità
di scettro, è uno specialista di tappeti antichi
caucasici e anatolici. Approda a Milano subito dopo
la rivoluzione khomeinista. Sceglie di iscriversi
alla facoltà di Architettura, indirizzo urbanistico.
Una collaborazione casuale lo introduce però
nel magico mondo del tappeto ed è così
che nasce nel ’96 la galleria Nader
(via
Moscova 27, tel. 0229.006.397).
Partito
da sotto zero ma mosso subito da autentica passione:
"Avevo
solo vent’anni, ma credevo in quello che facevo"
.
Rosetta
Griglié
Sono
tappeti che sfidano le rughe del tempo ostentando
colori puri nitidi primordiali, che escono dalla trama
come gemme preziose. Sobouti partecipa con grande
interesse a tutte le mostre nazionali ed internazionali
ed ogni anno ne organizza una a tema nel suo atélier-galleria.
Quest’anno il titolo è I tappeti del XIX
secolo, dal 23 novembre al 29 dicembre, orario
10.00 – 20.00.
È
un periodo particolarmente felice del tappeto caucasico
e anatolico, che segue esclusivamente il fabbisogno
interno senza occhieggiare al mercato occidentale.
Arte genuina, insomma, che alla fine del secolo verrà
"corrotta" e corretta dall’interesse degli
americani per il tappeto, modificando quindi le fattezze
e operando dei cambiamenti nelle tecniche di produzione
a beneficio di un manufatto più "moquettoso"
(oltreoceano si pretendono almeno due cm sotto i piedi)
e di più ampie dimensioni.
L’Ottocento permette inoltre di godere
di pezzi autentici senza arrivare al collezionismo
ultraricercato e ultracostoso del Sei-Settecento.
Attenzione però al miraggio del tappeto come
bene rifugio. Il bello costa (e dall’11 settembre
a oggi i prezzi sono triplicati, come si è
registrato nelle ultimissime quattro aste internazionali).
Ecco perché bisogna fare attenzione agli imbonitori.
Il bello recente costa quanto il bello antico. Non
esistono affari d’oro, anche se Milano è una
delle piazze migliori del mondo, ed è oggi
molto vicina a New York dopo aver detronizzato Londra.
È inoltre importante quando si decide l’acquisto
di pretendere un ottimo stato di conservazione.
Consigli di manutenzione? Intervenire
subito ai primi segni di usura e lavare i propri preziosi
ogni quattro o cinque anni. Ma se volete profittare
di altri consigli d’esperto doc fate una capatina
chez Monsieur Sobouti (a proposito, Parigi come antiquariato
di tappeti non esiste proprio).
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Jovanotti
fa Sinestesie
e non s'annoia
Resterà
aperta fino al 16 dicembre, presso lo
Spazio
Corneliani (
Pal. Durini, via Durini 24, tel. 0280.521.51,
delosmi@tin.it),
la mostra Sinestesie che unisce colore e musica.
La mostra è la quinta di una serie e fa capo
a un progetto generale, che si chiama appunto Il
colore della Musica ed è curato da Alberto
Fiz per la Fondazione Maimeri.
Albino
Magenta
Se
nelle precedenti edizioni dialogavano un artista e
un musicista, quest’anno si dà vita ad un concerto
fatto di immagini, colori e suoni in cui i protagonisti
sono l'artista Marco Lodola, che ha sempre fatto della
contaminazione l’elemento fondamentale della sua ricerca,
e i musicisti con cui ha collaborato, come Lorenzo
Jovanotti, i Timoria, Andy dei Bluvertigo e Max Pezzali
degli 883. Sinestesie si sviluppa attraverso
un percorso di trenta opere dove, accanto alle sculture
luminose realizzate da Lodola per l’occasione, compariranno
nell’inedita veste di pittori anche Lorenzo Jovanotti
e Andy dei Bluvertigo. Non mancheranno le scenografie
di Lodola per i concerti degli 883 e dei Timoria tra
cui Caveau, l’ormai celebre cavallo in perspex
a grandezza naturale. Dice Lodola: "Suoni
e immagini sono due universi che si sovrappongono
e danno vita a quel fenomeno per cui la percezione
di determinati elementi è accompagnata da immagini
proprie di un’altra modalità sensoriale: sinestesia,
appunto".
|
|
Accanto
alle sculture di Lodola, la mostra presenterà lavori
pittorici di derivazione pop realizzati da Andy dei Bluvertigo
e dipinti di Lorenzo Jovanotti con un raffinato uso del colore
in chiave espressiva e ironica. "A
me la parola arte mi fa uno strano effetto",
afferma con un certo scetticismo Jovanotti. "È
come una cravatta stretta intorno al collo come un cappio".
Il progetto è completato da un altro intervento, un
video di Anna Agnelli sui lavori luminosi di Marco Lodola,
che segna anche il debutto della giovane regista.
Il
progetto Colore della Musica è nato nel 1997
ed ha visto insieme esponenti dell’arte e della musica come
Emilio Tadini e Sarah Jane Morris (1997), Aldo Mondino e Delmar
Brown (1998), Lucio Del Pezzo e Enrico Ruggeri (1999), Marco
Nereo Rotelli e Franco Battiato (2000). La mostra è
accompagnata da un ampio volume edito da Mazzotta (lire 40.000)
con testi di Alberto Fiz, Lorenzo Jovanotti, Fabiola Naldi,
Omar Pedrini, Max Pezzali, Red Ronnie e Tiziano Scarpa.
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Cuba e Cigair! E Marx (Groucho)
ci mostra la via (del tabacco)
Nel
1493, Luís de Torres, uomo di fiducia dell’equipaggio
di Colombo, tornato nel Vecchio Continente e scoperto a fumare
un sigaro per le strade di Madrid, viene accusato di stregoneria
dall’Inquisizione e buttato in prigione….. Un autentico paradiso
invece attende ora gli appassionati fumatori di sigari cubani:
è il
Cigair Milano (Via
Molino delle Armi 25, tel. 0289.420.089, e-mail cigair@tin.it).
Vittoria Colpi
Una piccola discesa, qualche gradino e si
apre un elegante spazio. Ottimi quadri alle pareti, una collezione
di chitarre vintage su un minuscolo palcoscenico, accoglienti
poltroncine minimal e sullo sfondo un lungo bancone di bar
cubano, del 1923, ricolmo di raffinati alcolici. Il sorriso
ammiccante di Groucho Marx, famoso cabarettista ed ora simbolo
del Cigair, ci invita con il suo Dunhill 410 al piacere del
fumo.
Fa gli onori di casa Federico, sopracciglia
e baffi scuri, arcana somiglianza a Groucho, enciclopedia
umana in fatto di sigari…
Come è nata l’idea del Cigair?
"Il Cigair è un club di fumatori.
È stato creato nel 1997 da Andrea Molinari,appassionato
collezionista di sigari cubani. Il socio, e ne contiamo più
di 3000, da noi è sacro."
Mentre Federico spiega che per i sigari come
per le auto esistono marche e cilindrate, che il loro nome
nasce spesso dalla lettura di libri che accompagnava il duro
ma nobile lavoro dei torcedores, così come il Montecristo
o il Romeo y Julieta, ci avviciniamo al cuore del locale,
il walk-in-humidors per gli intenditori.
Qui alloggia la Casa del Habano?
"Sì, qui il sigaro è trattato
da gran signore. Con il legno di cedro cubano alle pareti,
temperatura ed umidità controllate, ritorna alle origini,
nel clima tropicale in cui è nato. Il fumatore può
apprezzarlo nelle condizioni ideali."
|
Ibiza: reveni, revidi, revici
et latine (vani)loquor
Si
ritorna dopo più di un anno da Ibiza
(c.so
Garibaldi 108, tel. 0265.548.01)
e si resta sorpresi dai mutamenti. La Commensale Misteriosa
ed io seguiamo le tracce di un lettore che ha scritto per
dire peste e corna del locale, e ne chiediamo subito conto
al direttore Piero Valerio: cur hoc fecisti? (NB: Il
latino del liceo ritorna sempre su, tale e quale l'aglio.
Con noi quel giorno c'era Brer Merlin Cocai.) Ma davvero qui
è sempre pieno di comitive, davvero i camerieri sono
scortesi e il cibo così così?
Brerus
Ebbene, lo ammetto: sapevamo già la
risposta, perché uno della redazione ci era andato
a mangiare prima senza farsi riconoscere, ma lo stesso volevamo
chiederne conto al gestore tanto per rompere un po' le forlimpopole,
malignazzi che siamo. Orbene i camerieri sono solleciti e
il cibo originale e delizioso, ispirato creativamente alla
tradizione mediterranea.
Ibiza redibis non morieris in bello! Nunc
est bibendum. Questa volta notiamo una sterminata lista
dei vini: Valerio raccomanda i suoi francesi, ma a due mesi
dall'euro ci tuffiamo in un trip di nostalgia e assaggiamo
solo roba italiana — un Cervaro della sala barriccato 99 Antinori,
un incredibile bianco che sa parecchio di tè Lapsang
Souchong, seguito da un Nebbiolo Langhe 98 Cavallotto, degnissimo,
un sorso di corda (sursum corda) che cura la depressione.
Cogitas, ergo es, avrebbe potuto dire Cartesio: pensi,
vuol dunque dire che mangi, visto che, se non mangiassi, sarebbe
dura assai pensare. Arrivano pertanto quattro antipasti, l'africana
di calamari fritti con zucchine, che è straordinaria,
non grassa, gradevolissima, un'insalata di avocado (insalsa
akkaum in antico falisco) con gamberetti e salmone, buona
ma il salmone non c'entrava proprio, un'insalata di polpo
con carciofi (magistrale accostamento), e un involtino di
pesce spada. Questo è delicato, con un ripieno gentile,
e l'occasionale cappero di Giannutri, simile alla perla nell'ostrica,
questa volta tocca alla Commensale e non a me. Misteri della
Misteriosa.
In primis venerare deos. Fra i primi,
geniale è la passata di ceci, morbida, accompagnata
dal polpo, e poco meno gli gnocchetti di patate all'erba cipollina
con bottarga, che viene cosparsa come gomasio e tu mangi pura
e sapida morbidezza.
De secundis clamavi ad te, Domine.
Segue infatti arrosto di vitello (non di maiale, che sarebbe
mea pulpa, dato che io mi mantengo sempre compos
suis) con funghi e calamari di campo (introdotti dal caposala
Giuseppe Ferrara, che è fidanzato con una spagnola
provvida di consigli di cucina): curioso, ma di fronte all'agnello
con salsa di frutti di bosco l'indecisione è impossibile:
ubi maior, ad astra in excelsis: o no? Chiudiamo i
cibi con un buon tortino al cioccolato e una singolarissima
pera con frittata dolce e salsa al cioccolato, i vini con
un Sauternes che è oro liquido (chrysolysis).
E il lettore critico? Mah, forse era un concorrente
in incognito e per di più ad portas, insomma più
Hannibal che Lector. O forse è capitato
in una di quelle giornate-no che prima o poi si verificano
in ogni ristorante, quando metà del personale ha l'influenza,
il caposala ha litigato duro con la sua focosa spagnola, al
bravo chef Pierluigi è appena morto il gatto e il gestore
è esasperato dalle continue e sguaiate citazioni latine
(gestor, ne ultra lasagnam!). Quandoque bonus dormitat
Homerus, non vi pare? Un consiglio finale da Brerus,
-a, -um: andateci, all'Ibiza, sventolando questo articolo
(articulum hoc exventulantes, arida modo pumice expolitum),
e chiedete conto di qualunque pecca, se mai dovesse esserci
(ma non ce ne saranno). Che diamine, siamo vvuomini o corporali!?
|
Notting Hill, dove trovi tutto
All'esterno
ricorda le palazzine di Londra, con la sua facciata blu scuro,
il tendone dello stesso colore, e le vetrine che sono composizioni
sempre nuove di articoli accattivanti e impensati. Notting
Hill
(via Ponte Vetero 14, tel. 0286.984.539),
il cui nome si riferisce ad uno dei più noti quartieri
di Londra, è proprio come quei negozietti londinesi
in cui si trovano gli oggetti più disparati, provenienti
da ogni parte del mondo.
Roberta Lombardi
Si tratta invariabilmente di idee-regalo,
divise per generi. Si possono passare le ore alla ricerca
di regali per gli altri, ma viene la tentazione di regalarli
a sé stessi!
È
come trovarsi in un mercatino dove c'è di tutto, non
resta che scegliere. Per la cucina c'è il reparto in
ceramica o in alluminio, con decorazioni che cambiano in ogni
periodo. "Il nostro
intento è di offrire ogni volta prodotti nuovi: cambiamo
sempre aspetto e non siamo mai uguali".
Ci sono guantoni, presine, strofinacci con disegni di gatti,
oche, teiere. La linea in découpage, invece, raccoglie
articoli moderni, ma anche pezzi di antiquariato trovati nei
vari mercatini. Per chi ama la carta c'è, poi, una
scelta vastissima di carte regali e di scatole decorate col
cartonnage.
Non
vengono dimenticati i più piccoli, con una parte tutta
dedicata a loro, dove si trovano magliette e felpine con dolcissimi
disegni di cuccioli. E le stesse magliette si trovano per
i più grandi anche con la shopping bag uguale. Una
stanzetta è tutta dedicata ad uno stand orientale,
arredata come una sala da pranzo, con mobili etnici.
"È la nostra stanza preferita!",
spiega la mia accompagnatrice: "Sembra
di stare a casa".
Il tavolo al centro ha il ripiano costituito da una finestra
di ferro battuto. Spiegazione: c'è tutta una linea
in ferro battuto che ha avuto un grande successo.
|
Un cestino che si ammira e non si mangia
Per il prossimo
Natale cerchi un cestino-regalo diverso dai soliti dolci,
spumanti e frutta? Un cesto a tema per un bimbo, un single
o una romantica amica? Ricolmo di morbide salviette, di caldi
accappatoi, di canovacci o lenzuola dalle mille sfumature,
un tale cestino lo trovi da Mirabello
(Via
Montebello ang. Via S. Marco, tel. 0265.99.773, mirabello@mirabellomilano.it).
Vittoria Colpi
Il pioniere è Roberto Cabrini. Con
il suo bagaglio di esperienza in biancheria per la casa, maturata
sul campo in importanti aziende, si porta nel West, la zona
di Brera di 20 anni fa, con le case fatiscenti, le latterie
dove si perdono gli artisti, insomma un quartiere non ancora
così commercialmente famoso com'è oggi.
All’inizio Cabrini vende prodotti di altre
aziende, ma nel contempo studia ed affina i gusti della clientela.
Arriva a creare una propria linea di biancheria per la casa:
cose belle ed utili. E oggi: tessuti per camicie, passatoie
in coconut, modernissime coperte di pile e preziose stoffe,
provenienti da tutto il mondo, per lavori di tappezzeria.
Con la consulenza del personale, gentile e preparato, ogni
persona ed ogni angolo della casa qui possono essere vestiti
su misura e cifrati con ricami di loghi e simboli, eccetto
il ripostiglio del carbone.
"È stato
un percorso inverso, il nostro", racconta
Francesca Cabrini, figlia di Roberto e attuale titolare del
vasto magazzino della Brera in, e le si illumina il volto
quando parla del padre che definisce giovane: "Prima
è nato il negozio, poi l’azienda che distribuisce anche
all’estero prodotti col marchio Mirabello."
Un lavoro di ricerca
e di attenzione alle richieste dei clienti quindi…
"Certo,
Mirabello si presenta al pubblico con proposte interessanti.
Gli
scaffali in legno dove gli articoli sono sistemati per gamma
di colore, la regalistica nelle forme più originali,
i fiori stampati a grandezza e colore naturali che rendono
le stoffe simili ai campi di Van Gogh ."
Tra tele di percalle e di satin spunta anche
il tessuto Louisiana: è nato qualche anno fa in casa
Cabrini ed è stato chiamato come la patria del cotone.
Morbido e setoso al tatto, appare brillante e luminoso come
una stella com
|
E
M.A.C disse: gioca con il tuo aspetto!
"Abbiamo
scelto uno stile minimalista perché vogliamo che tutta
l’attenzione sia per i prodotti e la nostra creatività".
Ad accogliermi è Barbara De Poli, 28 anni, shop manager
di M.A.C
Cosmetics
(via
Fiori Chiari 12, tel. 0286.995.506, http://www.maccosmetics.com),
prestigiosa boutique del make-up. Parente molto più
stretto del creativo Macintosh della Apple che del massificato
McDonald's delle hamburger, il M.A.C stupisce per la sua essenzialità:
all'interno, semplici pareti bianche – eccolo lì, lo
stile minimalista! – ma, da esse, un’esplosione vivacissima
di colori.
Francesca
Sarzi
A
girellare per il negozio infatti si ha la bizzarra impressione
di trovarsi all’interno della tavolozza di un pittore. Notiamo
prodotti per occhi in confezioni che paiono tempere: M.A.C
gioca con l’idea del make-up come arte pittorica ed espressione
di estro creativo. Non sarà mica un caso che il negozio
sia in Brera, Quartiere dell'Arte per eccellenza. Ed eccolo
comparire, il pittore, quello della tavolozza. Ed eccolo comparire,
il pittore, quello della tavolozza: Stefano Ghidoni, 25 anni,
truccatore, "pintore di volti". Perché da M.A.C puoi
fare sedute di trucco per riinventarti un volto in occasioni
particolari e seguire lezioni di trucco per imparare a giocare
con la tua immagine ogni volta che ti va. E perché
no, somigliare per una sera alla fascinosa Barbie o diventare
una trasgressiva punk-rocker, che mi spiegano sono le nuove
tendenze dell’anno. Magie d’arte, miracoli del trasformismo,
giochi dell’immaginazione.
|
Coloratissimi,
i cosmetici M.A.C nascono con l’intento di soddisfare le esigenze
"All Ages All Races All Sexes". "World oriented", per dirla
con Barbara in due parole (in italiano ce ne vorrebbero di
più, ma l'inglese vivaddio è una lingua sintetica).
Chi entra da M.A.C trova quello che cerca e anche quello che
non si aspetta. Ed è guidato nella scelta di articoli
e toni con "fantasia,
conoscenza ed un sorriso",
promette Barbara.
Poi
c'è tutto l'impegno sociale ed ecologico. Chi acquista
uno dei 3 rossetti creati appositamente per la campagna "Viva
Glam" contribuisce, con il ricavato, a combattere la lotta
contro l’Aids. Con l’iniziativa "Back to M.A.C", restituendo
6 prodotti in plastica, si avrà un rossetto in omaggio.
E nessun prodotto è testato su animali. Prima di andarmene
saluto calorosamente anche Kalinca Costa, 26 anni, esperta
in body painting. Non me ne meraviglio affatto.
|
Maglie di Jucci, maglie
di Bellomi
"È
un bel lavoro, il mio: c’è molta creatività.
Anche nelle cose semplici. Ci vuole entusiasmo in quello che
si fa".
E di entusiasmo ne ha da vendere, il signor Pietro, 61 anni,
proprietario della maglieria Jucci
Bellomi (via
Mantegna 1, tel. 0234.903.50, n. verde 8002.1073):
"Jucci è mia moglie, Bellomi
sono io",
spiega cordiale, e passa a raccontare la sua storia.
Francesca Sarzi
C’era
una volta un maglificio che lavorava per un grande magazzino,
ma con poche soddisfazioni. Un bel giorno il suo titolare
legge su un giornale:
"C’è una Milano da scoprire.
Una Milano sulla quale investire".
Letto, fatto. Questa frase è la spinta che porta all’apertura,
nel 1993, di quello che Bellomi chiama affettuosamente, e
non senza orgoglio, il suo "spaccio-boutique" di via Mantegna.
Viva l’intraprendenza.
Da
oltre trenta anni Bellomi produce e vende maglieria.
"Lo stile è classico".
Il suo cliente tipo è "la
sciora milanese della buona borghesia, affezionata alla tradizione,
che vuole vestirsi bene e risparmiare".
Classico
sì, "ma
non vecchio",
tiene a precisare, "semmai
contemporaneo" —
è contento della definizione che ha appena coniato,
e se la segna compiaciuto su un foglietto per futuri usi pubblicitari.
Perché
dovete sapere Bellomi fa anche il pubblicitario, oltre che
commesso e un sacco di altre cose: "Faccio
il Jolly",
ride. E subito chiarisce: i suoi modelli sono all’80 per cento
sempre gli stessi, con qualche aggiunta di modernità,
"per
far contenta sia la madre che la figlia".
Ma il più è tradizionale, perché il suo
credo "è
produrre e vendere senza seguire, o quasi, alcuna moda: essere
autentici".
Questa
è la vera anima del negozio. È bello come lavora
Bellomi, ha il sapore antico dell’artigianato. Quello che
manca lo si rimpiazza al volo. La signora che ha rovinato
il sottogiacca (le stava così bene!), sa di poterlo
ricomprare. Il modello che piace viene fatto su misura. Il
cliente deve diventare l’amico che torna, perché, uno!
è
esaudito ("la
donna con un po’ di chili trova ciò di cui ha bisogno"),
due!
non
è mai deluso ("i
nostri filati sono pregiati, i prezzi ragionevoli")
e tre!,
è coccolato ("l’atmosfera
è accogliente, il personale discreto, non opprimente").
Quello
cui aspira, mi confida Bellomi, è che il cliente gli
dica: "Conosciuta
la Jucci Bellomi, non saprei più comperare da altri".
Una grande soddisfazione. Del resto, l’ha già avuta
più di una volta.
|
Eugenio
il gallerista
Grande
successo continua a riscuotere la mostra fotografica dedicata
ai ritratti femminili di Irina Ionesco presso la
Galleria
70 (via
Moscova 27, tel 0265.978.09).
I venticinque metri quadrati di un’ex macelleria sono dal
1993 il quartier generale di Eugenio Guittetti che della galleria
del padre, a Potenza, riprende il nome di battesimo, adottandone,
per amarcordica affezione, lo stesso elegante logo.
Rosetta Griglié
Diffusore
dell’avventura artistica degli anni Settanta il padre, grande
sostenitore del gruppo Cobra — sua l’esclusiva mondiale dal
1975 al 1978 dell’opera di Martin Bradley, sua la prima mostra
italiana di Anton Rooskens nel 1973, sua la promozione di
un artista come Corneille nel centro sud della penisola —
il figlio ne segue dal vivo l’attività "apprendendo
dall’esperienza diretta, cose che non si studiano".
Così a diciott’anni è già gallerista
e si laurea poi all’università in psicologia dell’arte
con una tesi sull’arte pop.
Gli inizi, che coincidono con la guerra del
Golfo e l’inchiesta "Mani Pulite", non sono facili. Ecco perché
Guittetti decide di abbinare ai quadri oggetti e gioielli
di piccolo antiquariato di origine cosmopolita — americani,
francesi, inglesi, tedeschi. Ha ormai clienti abituali, che
inseguono la qualità indipendentemente dal nome, che
acquistano bei pezzi anche senza spendere tantissimo. È
insomma il concretamento di un sogno: una galleria sua dove
esporre cose belle senza sottostare alle sole arcigne leggi
del mercato.
La prima mostra milanese della Galleria 70
è un omaggio a Verdi attraverso la serie grafica di
Corneille, nel 1994 arriva invece una retrospettiva di Lucebert,
la prima dopo la sua scomparsa. Poi ospiterà a più
riprese Gilgogué, fino alla prossima mostra monotematica,
a lui dedicata, sul volto. E nel maggio 2002 è prevista
una mostra della pittrice olandese Ans Bakker.
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Quel gioiello dev'essere mio
(e solo mio, disse l'artista)
Il
gioiello deve essere di chi lo indossa e solo suo: "Si
sente il bisogno di tornare a qualche cosa di più umano,
del fatto a mano, come un desiderio in costante aumento di
riappropriarsi di sé stessi, del proprio corpo".
Gillo Dorfles, critico d'arte e grande studioso del gusto
e dell'estetica contemporanea, spiega così l'interesse
dell'ultimo periodo verso il gioiello artigianale.
Roberta Lombardi
In
questa filosofia si riconosce Fabio Cammarata di
Cammarata
Gioielli (largo
Treves 2, tel. 0229.003.746) che
ha inaugurato nel maggio 2000 il negozio in cui produce e
espone i suoi gioielli. Il progetto viene incontro alla mancanza
nella città di una galleria del gioiello contemporaneo
prezioso. Ospita anche le opere di importanti designer e si
propone la promozione di giovani artisti emergenti. Ciò
che accomuna i pezzi è la ricerca progettuale che sta
dietro la sperimentazione formale e delle tecniche artigianali.
Per esempio la granulazione, la commistione tra oro e ebano,
l'uso di conchiglie con pietre semipreziose e perle.
Il
gioiello recupera tutta la sua funzione, diventa veicolo attraverso
quale l'uomo si esprime, si riconosce nello sforzo proprio
dell'artista di comunicare attraverso la materia. Ci sono
pezzi unici o collezioni comunque limitate, perché
si ricerca l'unicità, la particolarità. È
la risposta ad una produzione di massa che facendosi tutta
uguale finisce per perdere un suo significato, diventando
una scintillante e muta icona. Come dice Dorfles, ci vuole
"una
rinascita dell'alto artigianato che si pone vicino all'arte,
piuttosto che un finto design che non ha l'aspetto artigianale".
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I
misteriosi tappeti di Manukian
Tappeti
che sono quadri. Ora ci appaiono come immagini di giardini traboccanti
di fiori. Ora, nell'intrecciarsi di forme sinuose o geometriche,
diventano messaggi cifrati di un'armonia che sembra appartenere
ad un altro mondo. Questi sono i tappeti che si trovano da Giacomo
Manoukian Noseda (piazza
San Simpliciano 2, tel. e fax 0280.516.37).
Il negozio è specializzato nella vendita e restauro di tappeti
antichi e del loro lavaggio a mano. Vende inoltre mobili, stoffe
e scialli, sculture e complementi d'arredo.
Roberta
Lombardi
Pezzi
che provengono da tutto il mondo, ma specialmente da Asia centrale,
Persia, Turchia e Cina. Nell'antico Oriente, a causa dell'iconoclastia,
i tappeti sono stati la principale forma di espressione artistica.
In essi si ritrova l'intera cultura del popolo che li ha prodotti.
Si spiega così la preferenza per l'Oriente di Giacomo Manukian,
titolare del negozio ed esperto di tappeti antichi: "Le
mie scelte sono del tutto soggettive, ciò che cerco è
l'armonia, la gioia, il sentimento di positività e la spontaneità
che i colori e le forme trasmettono".
Manukian ha aperto sette anni fa, ma prima aveva già collaborato
per altri tredici con una galleria di tappeti a Como.
Sono
tanti i generi presenti, tra cui i persiani, i kilim, i tappeti
di lana lunga dell'Uzbekistan a cui il disegno lineare e i colori
incisivi danno un aspetto modernissimo. E persino i copridorso per
cammelli di feltro, trasformati in originali arazzi. I tappeti,
tutti annodati a mano e dai colori naturali, esprimono tutta una
concezione del mondo. Uno avverte la profonda spiritualità
della cultura orientale, l'equilibrio, la pace interiore. Dall'Europa
ci sono esemplari dello Jugendstil e dell'Art Nouveau.
Anche
gli altri oggetti sono stati selezionati con gli stessi criteri.
Ci sono altari cinesi in legno di tigre, antichi abiti turcomanni,
stoffe di seta intrecciate d'oro, scialli Kashmir, panche cinesi
la cui forma ondulata richiama il copricapo dei preti taoisti. Sembra
che da questi manufatti si sprigioni quell'energia che gli uomini
orientali attribuiscono alla natura, come se l'artista vi avesse
infuso un'anima. L'impressione che si ha a guardarli è che
ciò sia del tutto possibile… e normale.
Poesia
della cucina da Punto Servizio Casa
"La
cucina è l’ambiente più complesso della casa"
– spiega Serenella Bazzana, giovane e simpatica architetto,
prodiga di saggi consigli. In una decina di metri quadrati
in effetti si condensa lo stile di vita, la psicologia, la
quotidiana economia domestica di una o più persone.
Nel ’98 si inaugura dunque in Brera un’insolita boutique,
cioè Punto
Servizio Casa
(piazza XXV Aprile 3, tel. 0229.004.848).
Non borsette, non scarpe, non vestiti, non gioielli, ma cucine-gioiello
belle e intelligenti per le casalinghe e i casalinghi del
XXI secolo.
Albino
Magenta
|
|
Forti dell’esperienza
già maturata con successo dal ’96 in un altro Punto Casa
in viale Piave, Lorenzo Marzorati e soci aprono un punto vendita
per cucine multimarche (da Berloni a Bosch a Euromobil) ed elettrodomestici
da incasso (Miele, Ariston, Smeg, Rex, Nardi, Whirpool, Siemens,
Bosch, Alpes, Baraldi, Elica, Franche, Blanco ed altri). Cucine
e accessori insomma per tutti i gusti e per tutte le tasche disponibili
presso un negozio che offre, accanto alle tecnologie avanzate, il
gusto della "bottega artigianale" che realizza alla lettera, su
disegno da falegnameria, i desideri del committente.
"La
scelta di una cucina assomiglia quasi a una riunione di famiglia",
dice Marzorati. Una vera e propria conferenza in cui i diretti interessati
– in più puntate – lungo un arco di tempo di trenta ore circa
disegnano con gli esperti la "loro" cucina. Quasi una psicoanalisi
del focolare domestico. In questo modo con il cliente si arriva
spontaneamente al tu, creando un giro di passaparola che allarga
la fascia del pubblico attraverso una rete di amicizie e non di
impersonale pubblicità.
Dato
curioso: metà dei clienti arrivano dall’hinterland milanese,
evitando proprio i grandi poli commerciali fuori porta che offrono
prodotti molto ben "truccati", ma con poca assistenza e qualità
non sempre certa.
Non
ci si stupisce quindi che il team di Servizio Casa abbia registrato
due anni in crescendo con cucine commissionate ed esportate anche
in Costa Azzurra, Sicilia, Liguria, per seconde case dove spesso
è difficile trovare un riferimento e una professionalità
adeguati. Progetti per il futuro? Chissà, fare un salto anche
fuori dalla cucina.
Il
Portale degli artisti
Nasce
su Internet un Portale ideato per divenire punto d’incontro
tra gli artisti, l’istruzione artistica, la critica, le manifestazioni,
le Associazioni culturali. Molti siti Internet sono dedicati
all’arte e a tutto il suo contorno, ma visto il loro numero
elevato, si è pensato di farli confluire in un unico
portale. Molteplici sono i lati positivi di tale iniziativa.
Innanzitutto funge da vetrina per ogni singolo artista che
avrà a disposizione un proprio spazio con relativo
indirizzo Internet ove collocare fotografie, il recapito,
recensioni, ecc. E’ un punto di riferimento per coloro che
desiderano avvicinarsi al mondo dell’arte conoscendo i vari
artisti, i vari Istituti d’insegnamento, le manifestazioni
culturali in Italia, ecc. Invita diversi critici d’arte a
partecipare mediante la pubblicazione di critiche a opere
nuove o meno recenti. Infine offre alle molteplici Associazioni
culturali uno spazio d’incontro per far conoscere le proprie
iniziative e la propria ubicazione. Sono presenti ben 48 categorie
di artisti e ogni categoria è suddivisa in 18 Regioni,
visto che il portale ha carattere nazionale. Il coordinatore
del portale è Gabriele Vilardo, info@ilportaledegliartisti.it.
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Hostarie
Vecjo Friûl, le lys dans via Rosmini
(Ottobre
2001) Ricordate
il romanzo di Balzac, Le lys dans la vallée?
La sorpresa dell'Hostarie
Vecjo Friûl
(via
Rosmini 5, tel. 0233.601.498)
è del tutto analoga a quella del protagonista balzacchiano.
In una via dall'aria normale c'è un vero ma insospettato
tempio della gastronomia.
Brerus
Officiante,
per 28 fedeli su altrettanti coperti, l'impareggiabile Giuliano
Macassoli, milanese che ha scelto il Friuli, da sempre ristoratore
e da che ha ripreso l'Hostarie anche insigne enotecaro. Contando
anche le diverse annate, offre una scelta fra 1100 vini. Se
poi uno oltre a comprarsi una bottiglia di vino vuol mangiare,
ha due alternative. O telefona e dice: vengo un mezzogiorno
con enne amici. Oppure si reca da Giuliano alle otto, prima
che si abbatta l'ondata dei micascemi più tardivi,
e si fa aprire il giardino delle delizie.
Quod
fecit insignis Brerus (scusate per l'imbrodatura, ma se non
mi lodo da me non lo fa proprio nessuno) cum Papiensi Commensali.
L'ambiente è piccolo e raccolto, con piatti portoghesi
e altri di grande gusto (falsamente non raffinato, in realtà
meditatissimo). Coperti all'americana in carta da macellaio
anni Cinquanta, stesso discorso. E subito Macassoli ci serve
un Tocai Pinot Grigio trentino Château de Vattelapèches
(pardon, ma anche Brerus a volte si scorda di prendere nota)
a vendemmia tardiva, lievissimamente abbocato, con un incredibile
mazzolino di frutta che ti riempie le narici di banana, albicocca
e fichi. "Fa
da aperitivo!?" mi
stupisco. "Fa
da aperitivo", conferma la Commensale Pavese,
"ma il vero problema è: noi come
facevamo a vivere, prima?"
Eravamo
appena all'inizio. Giunge in tavole un'insalata di porcini
freschi del Trentino, finalmente senza scaglie di parmigiano
(grande formaggio, intendèmes, ma non adatto né
per il gelato né per i porcini crudi), con l'olio giusto
(toscano, non troppo forte, non troppo sciapo). Subito dopo
un pâté de foie gras, con un fondo acidulo perfettamente
bilanciato dall'incredibile straordinaria marmellata di cipolle
(!) servita insieme. Quindi un dispiegamento di salumi impareggiabile:
uno straordinario San Daniele, un prosciutto cotto che molto
loda la Commensale, un'eccellente pancetta, un notevole e
originale salame d'asino e due varianti di salame d'oca che
l'inclito Macassoli prende alla Corte dell'Oca di Mortara,
la quale è per il nobile volatile quel ch'era Montanelli
per il giornalismo italiano. Brerus fa solenne voto di tornare
presto da Gioacchino Palestro, appunto alla Corte dell'Oca,
dove ebbe a trascorrere un'indimenticabile cena con altri
mangioni (pardon, volevo dire gourmet).
Anticipando
il giudizio di Scrooge, bisogna dire che la qualità
si paga, ma perfino Scrooge ammette a malincuore che qui non
la si paga neanche tanto. La qualità è anche
e sopra tutto nel vino: ci arriva un Saloncello, fatto con
uva Nebbiolo in Valtellina. Non molto corposo per essere un
Nebbiolo, ma – al solito, al solito! – raffinatissimo. Poi
assaggiamo un Cabernet Sauvignon del piccolo produttore Renzo
Gorga, talmente profumato che a Brerus ha fatto venire i brividi
e la pelle d'oca, per la prima volta in vita sua (mia). La
Commensale Pavese ha invocato un letto per poter più
comodamente svenire. Cari lettori, a questo misurerete l'abnegazione
e l'altruismo di Brerus: di un tale vino non avrei dovuto
parlare, per poterlo bere tutto io in nietzschiani infiniti
ritorni da Macassoli: invece ho registrato l'esperienza: non
bevetemelo tutto!
Rinunciamo
ad assaggiare i primi, ma non perché non ci attirino,
e assaggiamo invece il piatto dei formaggi: disposti torno
torno sono Valsassina, Taleggio di grotta, Capra al sambuco,
Capra di Bocasso, Camembert stagionato, Fossa di Sogliano
di un anno e mezzo e Serena, un formaggio vegetale di Tenerife.
Al centro, una confettura di anguria bianca senapata. Su questa
ottima piccanzìa assortita beviamo un Sauternes che
sa di camomilla, e la Commensale Pavese racconta un aneddoto
su un Sauternes bevuto, of all places! a Oslo, magico rimedio
a una delusione amorosa. I formaggi sono squisiti, ma a questo
punto confesso, ce lo aspettavamo.
Mentre
sorseggiamo un Armagnac all'arancia, amabile e non dolce come
il più celebre Cointreau, chiacchieriamo con le Lys
dans via Rosmini, al secolo Giuliano Macassoli, di whisky.
Macassoli ama i sapori forti, perciò antepone lo scozzese
all'irlandese, e fra gli scozzesi spregia il Laphroaig, che
invece Brerus apprezza. Meglio ancora Giuliano apprezza i
rhum, e con occhi sognanti vanta un certo Demerara 100 anni
che è nero come il carbone.
Siccome
Brerus ogni tanto deve bene mostrare che a lui non la si fa,
sentendomi incontentabile faccio un'osservazione sulla qualità
del pane, l'unico alimento che non sia stato all'altezza (stratosferica)
del resto. "Che
vuole mai, caro Brerus",
mi risponde Macassoli con franchezza,
"da una ventina di giorni il mio panettiere
di fiducia traligna!" E
subito snocciola i nomi di altre panetterie adeguatissime,
una delle quali già nota a Brerus e un'altra alla Commensale.
Difficile,
molto difficile a questo punto dare istruzioni per l'uso adatte
al locale. E se provaste ad andarci verso le sei del pomeriggio
per una "merenda sinoira", come dicono i piemontesi, cioè
una merenda a ora tardella che trascresce agevolmente in cena?
O a mezzogiorno, previa prenotazione? Unica avvertenza: Macassoli
lavora con un assistente solo, non è mai bene prenderlo
di sorpresa. Avvisatelo prima.
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Piatti
bicchieri & C.
Meraviglia
è il nome del calice, e nasce dalla collaborazione
fra l'enologo Donato Lanati e Accornero
(via Ponte Vetero 17, tel. 0289.096.297).
La forma è strana, un bulbo con un rigonfiamento alla
Bibendum (appunto). Le caratteristiche meravigliose consistono
nella possibilità di aerare alla perfezione un bicchiere
di vino vecchio, e di bere senza preoccuparsi dei sedimenti,
ché tanto si depositano sul rigonfiamento di cui sopra.
Benvenuti a uno dei più chic fra i negozi di piatti,
bicchieri & C. del centro di Milano.
Paolo
Brera
Che
è poi l'emanazione in guisa di showroom (200 metri
quadri, fra sopra e sotto) di un'impresa del Monferrato, fondata
dai coniugi Bruno e Marcella Accornero nel 1953, oggi felicemente
specializzata nella produzione di design, gli oggetti essendo
poi realizzati in gior per il mondo. Dalla tavola al complemento
d'arredo, dal funzionale al decorativo, l'importante è
il gusto.
"Il
nostro mercato è medio-alto",
spiega Ettore Accornero, direttore generale: "Il
target è il consumatore amante della casa e la nuove
coppie che vogliono fare una lista di nozze o di convivenza".
Ma anche il single (in Italia siamo 8 milioni), al quale è
dedicata la linea Colorap: piatti e ogni altro casalingo in
confezioni di due, perché single sì ma sempre
soli no di sicuro.
E
comunque, con gusto. Il calice Meraviglia, per esempio, è
interamente artigianale, soffiato a bocca e lavorato a mano,
perché in tal modo si adatta perfettamente all'altro
prodotto artigianale che è il vino. Accornero non si
limita a venderti il recipiente, offre anche il prezioso liquido,
insieme a vasetti di salse e conserve tipici delle terre monferrine
e mandrogne. "Perché
da noi la gente viene per comprare i contenitori ma se glieli
offriamo, accoglie bene anche i contenuti",
dice Accornero.
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La
mitica macchina per scrivere di Brera
donata dalla famiglia al Museo del Calcio
I
Senzabrera, come li ha definiti Gianni Mura in un famoso articolo,
sono coloro che sentono la mancanza di Gianni Brera e si domandano
che cosa avrebbe detto o scritto il Giôann di questo
o quell’avvenimento sportivo o culturale o gastronomico. In
effetti il vuoto che ha lasciato Brera quando se ne è
andato, rapito da un incidente d’auto nel 1992, era incolmabile,
ed è ancora oggi incolmato.
Marco
Ceccarini
Ma
ora è uscito il libro dei libri. Si tratta di
Gioannfucarlo. La vita e gli scritti inediti di Gianni Brera,
che uno dei figli di Gianni, Paolo Brera, anche lui giornalista
oltreché ex assistente di Storia economica alla Bocconi,
ha scritto a quattro mani con un giornalista della Gazzetta
di Parma, Claudio Rinaldi, per i tipi del Regisole di Pavia.
Il
libro, con una sublime prefazione di Bruno Pizzul, è
corredato da una ricca documentazione fotografica proveniente
dall’archivio di famiglia. Paolo Brera e Claudio Rinaldi hanno
girato l’Italia per illustrare la loro fatica editoriale.
Dopo essere stati presentati da Pizzul al Circolo della Stampa
a Milano, sono stati al Museo del Calcio di Coverciano a Firenze.
|
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È Paolo Brera a parlare per primo. Telegrafico
il suo esordio: "Ho
solo voluto dare seguito al comandamento che dice onora
il padre. Non so se ci sono riuscito, però ci
ho provato". E
ancora:
"Io mi sono occupato del Brera che non ho conosciuto,
la giovinezza e le prime esperienze giornalistiche,
la chiamata a Milano da parte della Gazzetta
dello Sport, la sua grande avventura al tour de France
del 1949, quello di Fausto Coppi, fino al suo ritorno
in Italia e alla sua nomina a direttore della rosea.
Dieci giorni dopo sono nato io. Lì si ferma la
mia parte, e anche così ci sono voluti otto anni
di lavoro di ricerca".
Subentra Rinaldi:
"Io invece ho raccontato la
storia del giornalista che tutti noi, o quasi, abbiamo
conosciuto. Ho detto di quando ha sbattuto la porta
alla Gazzetta ed è andato al Giorno, poi le amicizie
con alcuni personaggi del mondo calcistico, in particolare
con Nereo Rocco, le sue apparizioni in tv, l’attività
di scrittore, l’avventura a Repubblica,
e via dicendo, compreso il suo stile ineguagliabile".
La
chiacchierata si è svolta nei bei locali del
Museo del Calcio. Poco lontano c’era una Olivetti Lettera
62, una vecchia macchina per scrivere meccanica che
i giovani giornalisti di oggi, forse, non sanno neppure
come si usi. In bella mostra, infilato nel rullo, un
foglio ingiallito con scritto a mo’ di titolo Storia
critica del calcio italiano: sotto, l’attacco di un
libro famoso. È la portatile con cui il Gioann
scriveva i suoi memorabili articoli, la mitica Olivetti
di Gianni Brera. Il figlio l’ha appena regalata al Museo
del Calcio. Qualcuno commenta: "È
un po’ come la maglia nera della nazionale di Silvio
Piola"
(che è già a Coverciano). E dunque dove
poteva e doveva stare, se non al Museo del Calcio? Paolo
ha colto al volo l'occasione della presentazione del
libro per consegnarla, dono della famiglia, nelle mani
del direttore Fino Fini.
|
|
Museo
del Calcio, la memoria storica
del "gioco più bello del mondo"
La
storia del calcio in centinaia di cimeli: dai trionfi del
’34 e del ’38 a quello di Spagna ’82, e poi avanti fino ai
giorni nostri, passando per luci e ombre, vittorie e sconfitte,
gioie e delusioni. Il Museo
del Calcio di Coverciano
(viale
Aldo Palazzeschi 20, Coverciano-Firenze, tel. 055.600.526,
info@museodelcalcio.it)
è
una raccolta di emozioni. C’è la maglia di Piola e
quella – nera, per ordine del Duce – indossata da Biavati
nella finale Italia-Francia del ’38. C’è il ricchissimo
medagliere di Giovanni Ferrari e ci sono le scarpette di Zoff
della finale del Bernabeu. E poi, coppe, gagliardetti, palloni,
autografi; oltre 40mila fotografie digitalizzate e 700 filmati.
Claudio
Rinaldi
"L’obiettivo
è fare cultura",
spiega Fino Fini, "padre" e "anima" del museo.
"Vogliamo proporre ai visitatori
un affascinante percorso culturale nella storia del calcio".
Fini è, a sua volta, un pezzo di storia del mondo del
football di casa nostra: medico della Nazionale dal ’62 all’82,
ha visto nascere il centro tecnico di Coverciano, nel ’58,
e – dopo averlo diretto per trent’anni – non se n’è
più allontanato.
A
Coverciano si tengono i raduni della Nazionale e degli arbitri,
ci sono le scuole per allenatori di prima e seconda categoria,
vengono organizzati corsi per preparatori atletici, congressi
e sessioni di aggiornamento per tecnici e medici. Dal maggio
dell’anno scorso la "casa" della Federcalcio si è arricchita
del bellissimo museo,
"che continuerà ad ampliarsi
– spiega Fini – perché siamo costantemente a caccia
di cimeli significativi della storia del calcio. Il prossimo
obiettivo è la multimedialità: allestiremo un
sistema touch-screen per poter sfogliare virtualmente un album
di foto e di spezzoni di video che racconta la storia del
calcio, facendo rivivere bellissime emozioni".
|
Ottant’anni
in Jamaica
Per
celebrare gli ottant’anni del bar Jamaica
(via
Brera 32, tel. 0287.6723, info@giamaicabar.it),
a pochi mesi dalla scomparsa del patron Elio Mainini, la famiglia
ha organizzato nel locale una mostra fotografica che rievoca
l’epopea del grande ritrovo di intellettuali
che il Jamaica
è stato negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo
scorso e tuttora in parte rimane. Jamaica
– Il caffè degli artisti visto attraverso l’obiettivo
dei suoi fotografi
è il titolo dell’esposizione, che offre cinquanta fotografie
d’autore come quella qui accanto, di Ugo Mulas. Altri artisti
dell’obiettivo rappresentati sono Uliano Lucas, Alfa Castaldi,
Mario Dondero, Carlo Orsi, Ennio Vicario, Carlo Orsi, Carlo
Cisventi, Guido Cegani, Giancarlo Moroldo, Giovanni Ricci
e Fabrizio Garghetti, e scusate se è poco.
|
L’Olimpo
giamaicano
Ugo,
Ugo Mulas, per esempio, l’ho conosciuto nei primi anni Cinquanta
a un "Convegno di poeti", in una galleria d’arte in via Borgogna.
Perché Ugo, allora, voleva fare il poeta. E subito
dopo l’ho ritrovato al Giamaica. Voleva sempre fare il poeta,
e naturalmente non aveva mai una lira, e allora un giorno
Pietrino Bianchi gli ha detto
"Perché non mi fai qualche fotografia
per il mio settimanale?",
e Ugo ha detto di sì e poi si è fatto prestare
una macchina fotografica e, incredibilmente, di punto in bianco,
ha fatto una serie di fotografie splendide sulla Liguria di
Montale e si è reso conto che fare il fotografo gli
piaceva e così è diventato quel grande maestro
della fotografia contemporanea che adesso tutti conoscono.
Emilio
Tadini
Perché
ho raccontato questa storia? Solo per fare un esempio di quello
che era allora il Giamaica. E anche di come il Caso facesse
parte di quel piccolo Olimpo di Dei Minori che – credo che
in fondo ne fossimo tutti sicuri – vegliavano su quel luogo
magico e sui suoi abitanti. (Uso la parola "abitanti" perché
molti di noi passavano più tempo al Giamaica che a
casa propria).
Erano
tanti, i fotografi, al Giamaica. Come i pittori, gli scrittori,
i cineasti, i giornalisti. O, per meglio dire, erano tanti
i giovani che si erano messi in testa di fare uno di questi
mestieri – e che sarebbero riusciti a farlo, e, in molti casi,
anche benissimo. (E naturalmente non bisogna dimenticare l’aiuto
che ognuno di loro credo proprio abbia ricevuto, prima o poi,
da quel povero Olimpo efficientissimo che si spostava a mezz’aria
dal "giardino" all’interno del Giamaica – sempre strapieno
di gente e di fumo nelle serate lunghissime, fino a notte
inoltrata).
|
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Ogni
tanto, mi ricordo, da mezzogiorno e mezza alle due, o verso
sera, quando se bevevo il bianco ai tavolini, o dopo cena,
uno del Giamaica tirava fuori la macchina fotografica e faceva
qualche fotografia – all’aperto, se era bel tempo, o, se il
tempo era cattivo e faceva troppo freddo, dentro, sullo sfondo
di piastrelle bianche. E forse, in quei momenti, ognuno di
noi fotografati, senza neanche pensarci e certo senza volerlo,
si metteva in posa per qualche futura storia che non importava
assolutamente che si realizzasse o no, perché tanto
doveva sembrarci già abbastanza realizzata proprio
nei sogni che più o meno pigramente ci figuravamo in
testa e che forse ci sembrava già di poter vedere,
abbozzati alla meglio, sul tavolino, vicino ai bicchieri.
Quasi
tutti quei fotografi sono diventati grandi, famosi. Ma per
chiunque sia nato e cresciuto al Giamaica le loro fotografie
più belle restano quelle là, con quattro o cinque
giovani molto giovani seduti sulle poltroncine di ferro nel
"giardino", o dentro, contro lo sfondo di piastrelle bianche,
in vaghe pose sognanti e incomprensibili, davanti a un bicchiere
di bianco e ad altre cose – cose invisibili, queste, eppure,
a guardare bene, specchiate confusamente nelle loro pupille
e magari anche raffigurate come enigmi da quattro soldi nelle
pose di quel loro orgoglio inconsistente, fin troppo vulnerabile…
È
quasi inutile dire che, intanto, gli Dei Minori dell’Olimpo
Giamaicano continuavano a vegliare. E che, tranquillamente,
senza dare nell’occhio, continuavano a darsi da fare i loro
rappresentanti in terra – a livello del pavimento, diciamo.
La signora Lina, l’Elio…
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I tappeti Nader sfidano il tempo
"È
un’arte povera, che nasce dai villaggi, ben lontana dai
fasti delle Mille e una notte".
Karim Sobouti, antiquario per vocazione non per eredità
di scettro, è uno specialista di tappeti antichi
caucasici e anatolici. Approda a Milano subito dopo la rivoluzione
khomeinista. Sceglie di iscriversi alla facoltà di
Architettura, indirizzo urbanistico. Una collaborazione
casuale lo introduce però nel magico mondo del tappeto
ed è così che nasce nel ’96 la galleria Nader
(via Moscova 27, tel. 0229.006.397).
Partito da sotto zero ma mosso subito da autentica passione:
"Avevo
solo vent’anni, ma credevo in quello che facevo".
Rosetta Griglié
Sono tappeti che sfidano le rughe del tempo
ostentando colori puri nitidi primordiali, che escono dalla
trama come gemme preziose. Sobouti partecipa con grande
interesse a tutte le mostre nazionali ed internazionali
ed ogni anno ne organizza una a tema nel suo atélier-galleria.
Quest’anno il titolo è I tappeti del XIX secolo,
dal 23 novembre al 29 dicembre, orario 10.00 – 20.00.
È un periodo particolarmente felice
del tappeto caucasico e anatolico, che segue esclusivamente
il fabbisogno interno senza occhieggiare al mercato occidentale.
Arte genuina, insomma, che alla fine del secolo verrà
"corrotta" e corretta dall’interesse degli americani per
il tappeto, modificando quindi le fattezze e operando dei
cambiamenti nelle tecniche di produzione a beneficio di
un manufatto più "moquettoso" (oltreoceano si pretendono
almeno due cm sotto i piedi) e di più ampie dimensioni.
L’Ottocento permette inoltre di godere
di pezzi autentici senza arrivare al collezionismo ultraricercato
e ultracostoso del Sei-Settecento. Attenzione però
al miraggio del tappeto come bene rifugio. Il bello costa
(e dall’11 settembre a oggi i prezzi sono triplicati, come
si è registrato nelle ultimissime quattro aste internazionali).
Ecco perché bisogna fare attenzione agli imbonitori.
Il bello recente costa quanto il bello antico. Non esistono
affari d’oro, anche se Milano è una delle piazze
migliori del mondo, ed è oggi molto vicina a New
York dopo aver detronizzato Londra. È inoltre importante
quando si decide l’acquisto di pretendere un ottimo stato
di conservazione.
Consigli di manutenzione? Intervenire subito
ai primi segni di usura e lavare i propri preziosi ogni
quattro o cinque anni. Ma se volete profittare di altri
consigli d’esperto doc fate una capatina chez Monsieur Sobouti
(a proposito, Parigi come antiquariato di tappeti non esiste
proprio).
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Libri
per i Senzabrera
Senzabrera,
li ha chiamati Gianni Mura in un memorabile articolo. Sono
quelli che sentono la mancanza di Gianni Brera, che si domandano
spesso che cosa mai avrebbe detto o più ancora scritto
il Giôann di qualunque avvenimento sportivo o gastronomico
o letterario che li colpisce. Gianni, insomma, ha lasciato
un bel vuoto.
Rosetta Griglié
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Giannibreramania,
l’ha chiamata il settimanale Panorama. Si parla della
quantità di iniziative che vengono prese per onorare
Brera, dai tornei di calcio — finora cinque, di cui due, a
Cantù e a Trezzano sul Naviglio, sono ormai diventati
appuntamenti fissi del calendario dello sport — fino alla
mostra fotografica che Ambrogio Fusar sta trascinando in giro
per l’Italia, dal Premio Gastronomico dei cuochi pavesi pensato
e diretto da Mario Musoni.
E
ancora quello
letterario che si svolge tutti gli anni a San Zenone al Po,
paese natale dello scrittore e giornalista, e che "laurea"
tre scrittori che si riallacciano in modo efficace alle tradizioni
regionali, di qualunque regione d’Italia.
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Sono intitolate a Brera una ventina di vie
del Nord Italia (nemmeno una piazza, peraltro: e chissà
mai perché), diversi impianti sportivi, un vino — lo
Zuanne, dell’amico Vittorio Moretti, che possiede l’Azienda
Agricola Bellavista. Esiste un Simposio Gianni Brera che ne
prosegue l’opera in campo gastronomico ed esiste un Premio
giornalistico assegnato ogni anno a un giornalista sportivo
dai suoi colleghi dell’Associazione lombarda. Esiste, da quest’anno,
un Premio Gianni Brera per lo Sportivo dell’Anno, e a metà
novembre sarà assegnato a… be’, si fanno molti nomi,
ma in realtà la giuria si riunirà solo più
avanti nel corso del mese. Esiste, infine (se nulla ho scordato),
la nostra rivista online e on paper che dedica sempre uno
spazio alla giannibreramania, anche attraverso il sito curato
da Marco Marangoni.
A
Gianni Brera scrittore sono state dedicate, negli anni, numerose
tesi di laurea. Oggi escono due libri, Giôannfucarlo.
La vita e gli scritti inediti di Gianni Brera (Il
Regisole, Pavia 2001, Lire 69.000) e
I percome e i perché (Il
Regisole, Pavia 2001, Lire 25.000),
che è l’antologia dei racconti finalisti del Premio
Gianni Brera con un’ampia sezione breriana dove compaiono
diversi inediti (o… mal editi) di Brera.
L’introduzione
alla biografia di Brera, scritta dal figlio Paolo e da Claudio
Rinaldi, si
deve a Bruno Pizzul e può essere letta clickando qui.
Il volume è ampiamente documentato e ricco di fotografie
inedite, oltre a contenere scritti di Brera risalenti addirittura
all’anteguerra.
I percome e i perché offre una palestra
agli scrittori animati da un forte rispetto per la propria
e altrui identità regionale e pronti a metterlo su
carta. È una lettura molto piacevole e, come si è
già detto, la sezione breriana contiene molti scritti
di Gianni Brera.
Entrambi
i libri si trovano in libreria oppure possono essere richiesti
direttamente presso l’editore Il Regisole - Selecta Srl
(largo
Panizza 4, 27100 Pavia PV, tel. 0382.304.262 ).
Buona lettura!
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