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"Vi racconto Gioânn mio padre".


di Franco Brera
La Repubblica, 22 Dicembre 1992


Cari amici di Repubblica,
é davvero il caso di ringraziare pubblicamente tutti quelli che per Gianni Brera hanno scritto coccodrilli, articoli di cronaca e di colore, testimonianze di ogni genere. Come mi aspettavo, non c'è stata una virgola ostile, non abbiamo trovato altro che parole di grande affetto e di amicizia ovunque, anche negli articoli dei colleghi più critici verso le concezioni sportive e filosofiche di Giovanni. Abbiamo trovato riflessioni e introspezioni sincere, come quando muore un buono e giusto. Me lo aspettavo, perché non era tipo da lasciarsi alle spalle rancori: "Con quella bocca può dire ciò che vuole" gli aveva detto Piero Chiambretti intercettandolo allo stadio con la sua telecamera che molti temono come un bazooka. "Un ragazzino simpatico e intelligente" aveva commentato a casa il Joann.

Per lui sotto i sessanta erano tutti ragazzini. I comici riescono a dire la verità con una battuta: a Giovanni si permetteva tutto perché chi lo conosceva sapeva bene che qualsiasi durezza da parte sua veniva dalla benevolenza e dalla pietà (un tipo di pietas verso il genere umano, non verso gli dei). Per questo, a volte sembrava persino non rendersi conto della ruvidezza delle sue parole: dava per scontato che tutti ma proprio tutti leggessero i suoi buoni sentimenti di fondo, e che quindi non si sarebbero fermati alle parole. Mica voleva offenderli, lui. Voleva mettere al loro servizio la sua straordinaria memoria, la sua logica, la sua capacità di ordinare il caos con lo stile.Voleva umilmente aiutarli a conoscere meglio se stessi e la realtà.

Paradossalmente, proprio perché viveva di parole, sapeva che possono esprimere fino a un certo punto, e che sono l'apparenza del vero Vero. Era come se dicesse al tempo stesso: io sono un maestro delle parole, ma non devi offenderti per le mie parole. A volte era come se dicesse: "ti voglio bene, stronzo". Poiché "non credeva ai miracoli ma li sapeva fare", in fin dei conti é stato capito, credo. Per questo certe sue posizioni venivano così facilmente fraintese o prese per il verso sbagliato. Le donne, la rassa, certi pessimismi di un uomo nato qualche anno prima della Marcia su Roma: quello che conta é essere onesti, contano i fatti. Le tasse si pagano. I debiti si saldano subito. La parola si mantiene o non si dà. L'invidia serve a spingerci a migliorare nell'emulazione dei migliori. Siamo al mondo per servire gli altri attraverso il nostro lavoro.

Metti a posto la coscienza e poi vai a giocare in giardino, quel meraviglioso giardino pieno di amici che ci é stato donato. Per lui nel giardino c'erano una Olivetti 32 e i guantoni da boxe – come sport tra amici, senza farsi troppo male - un pallone da football e un aeroplano da cui saltare qualche volta "stringendo", per continuare a scrivere mentre gli altri impazziscono. O per poter passare attraverso la guerra senza uccidere nessuno lasciandoci solo un pezzo di naso (la raffica di un soldato tedesco).

Viverci insieme era molto difficile, come é difficile vivere con le persone di successo. La dolce Rina ha costruito la sua carriera e la sua fortuna quanto lui, lo ha amato da ragazza, da giovane donna, da madre e da vecchia. Ma qualche volta lo avrebbe pure preso a schiaffoni, se non fosse stata della sua stessa pasta. Sua cognata Eta Beta si é spremuta più di quanto non potesse, per aiutarlo. Per noi figli é stato un po' più facile. Ha delegato la nostra educazione quando eravamo piccoli. El gh'era no, e basta. Ci teneva solo a insegnarci personalmente a bere e c'é riuscito benissimo. "Ma bisogna saper andare anche dalla cantina alla vigna".

Da giovane diceva che ci sono due tipi di padri: quelli che stanno con i figli e non lavorano per il loro benessere e quelli che lavorano e non stanno con loro. Ha preferito pagarci un'infanzia agiata e gli studi universitari, aiutandoci poi sempre e comunque. Per il resto ha sperato nell'educazione indiretta, quella che i pedagogisti considerano l'unica vera. Da anni per me é un grande amico. Seguendolo a volte nelle sue trasferte mi sono accorto che sopra a tutto aveva il dono di regalare il sorriso. Quando arrivava tutti si preparavano a sentirne delle belle e a sorridere. Era un grande uomo di spettacolo. Riempiva l'ambiente con la sua presenza calda, un'aura della madonna e fumo di toscano. A dispetto di tutte le leggi dell'elettronica, la nuvola magica bucava anche lo schermo della televisione. Una cosa vorrei dire a chi lo amava: in tv era assolutamente uguale a quando chiacchierava seduto a tavola con noi. Infatti se volevo vedere il Joann, a volte andavo a trovarlo e se non potevo o non poteva lui mi mettevo davanti alla televisione. Mi dava esattamente lo stesso sollievo che dava a tutti. Io avevo il privilegio di vederlo più spesso.

Mi sono sempre chiesto perché abbia attivamente desiderato che i suoi figli diventassero giornalisti (e infatti lo siamo stati tutti), ma li abbia decisamente scoraggiati nello sport. Il calcio, fin da piccoli, era un argomento proibito, anzi dovevamo perfino avvertire gli amici in visita: "Parla di tutto meno che di sport". Perché? L'ho capito grazie alla vignetta di Forattini (potrei avere una copia dell'originale?). Non é vero che Gianni Brera fosse uno scrittore prestato allo sport, come dicevano i suoi amici per farlo sorridere. Come scrittore ha realizzato quello che doveva e voleva. Non é vero nemmeno come diceva lui stesso di avere scelto lo sport perché era disgustato della politica. Aveva scelto lo sport come un pretesto. Perché il suo insegnamento era che si può gioire e dar gioia anche parlando di cose poco spesse come il gioco e il tifo. Era laureato e colto, ha letto un libro per notte per decine d'anni, ricordava la data del matrimonio di Teodolinda ma voleva occuparsi di sport per conto di chi incontrava al bar. E ha insegnato che non c'é solo chi vuole educare il popolo per sfruttarlo e chi lo vuole sfruttare per educarlo. C'è posto anche per chi da pari a pari vuole farlo sorridere, per chi vuole dargli sollievo dalla sofferenza quotidiana, condividendo le sue passioni. Per questo il pallone da folber di Forattini mi é sembrato davvero solo.

Gli sportivi hanno perso il loro devoto cantore, il jolly joker che poteva dire ciò che voleva. Bisogna che ne arrivi un altro al più presto. Nel dolore che circondava la sua bara, applaudita come quella degli uomini di spettacolo, mi sono trovato nella situazione paradossale - per me figlio - di fare io le condoglianze agli sportivi, a cercare di consolarli della loro perdita. Ma il Joann mi aveva abituato ai paradossi e finalmente ho capito: non ha voluto che noi ci occupassimo di sport perché non conta cosa si ricerca, conta come si cerca. Lo sport era un grande fenomeno di massa, un buon punto di osservazione e di comunicazione. Lo sport era una scusa per muoversi. E che altro può essere? Grazie, Forattini.

C'è stata una Messa, nella chiesa di San Zenone. Lui era un socialista libertario, pubblicamente laico, ateo e persino irriverente. Diceva, rifacendosi per comodità al vescovo di Canterbury, che "non c'é nulla di più stupido che parlare di religione". Non so chi abbia voluto la Messa. Però, anche se mio padre evitava le chiese, a modo suo santificava le feste: "Oggi si é celebrata la ...esima di campionato", ha scritto tutte le domeniche per decine d'anni. Aveva una concezione sacrale del suo lavoro, dell'amicizia, del cibo e del vino. E come contraltare, un grande pudore verso la religiosità. Per una notte il suo corpo é rimasto in una saletta senza simboli religiosi, di fianco alla navata centrale, ma infine é riuscito a entrare in una chiesa. E' morto come un ragazzino, ha detto il TG 2, all'uscita dalla discoteca.

E' vero, le pacciade (e le tasse: non prendeva mai le fatture e non documentava mai le spese) erano il solo autentico lusso della sua vita. E' morto come voleva, in uno schianto, così non sapremo mai se da ultimo ha detto "Gesù" o "Cristo". Ma c'é differenza? Personalmente, la Messa mi ha dato serenità, anche se ero imbranato per la desuetudine. Grazie, don Antonio, sacerdote di San Zenone. Ciao, Giovanni, sei morto con due amici sinceri, Vittorio Ronzoni e Pietrino Mauri. Persone rare, nella vita di un uomo pubblico. Amici che chiedevano solo la tua compagnia in cambio della loro. Adesso chiudo come avresti chiuso tu il commento da Malta. Buon Natale agli amici che restano. Buon Natale a tutti.


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